"Meloni rischia di finire fuori dai giochi"

L'analisi del docente: "Con il proporzionale, anche arrivare al 30% è inutile"

"Meloni rischia di finire fuori dai giochi"

«Comatoso». Il politologo Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government, non usa mezzi per descrivere lo stato di salute in cui versa il centrodestra, alla fine della partita del Quirinale.

Come nasce la crisi del centrodestra?

«È una crisi che va avanti da tempo. La rissosità è una caratteristica della politica italiana. A destra per molti anni Berlusconi è stato un elemento centripeto di ricomposizione. Oggi Salvini vorrebbe rappresentare un nuovo punto di tenuta che, però, chiaramente non sta funzionando. Ma è tutta la legislatura che funziona male, non solo per colpa della legge elettorale. Anzi, senza questa legge elettorale, forse, non ci sarebbe neanche più il centrodestra. Ci sono divergenze interne, sia politiche sia di natura personale, dentro quello schieramento. Poi, viviamo in un contesto politico in cui nessuno schieramento ha avuto la maggioranza. E, infatti, non è che nel centrosinistra se la passino molto meglio...».

Che ne pensa della proposta politica fatta da Salvini?

«La proposta del Partito Repubblicano di unificazione tra Lega e Forza Italia, fatta in questi termini, non ha senso. L'idea di fare un partito unitario si capisce dentro una logica maggioritaria e non proporzionale. Ma in una logica maggioritaria una tale proposta va fatta con e non contro Meloni. La partita del Quirinale ha lasciato molte scorie che vanno affrontate. Infine, c'è un'ambiguità ideologica più ampia tra popolarismo e sovranismo e, dunque, bisogna capire anche qual è la collocazione in Europa e in quale direzione si vuole andare».

Come la proposta politica avanzata da Berlusconi?

«Se parliamo di un rilancio del centro moderato e liberale, è indubbio che quella è un'area in cui si può costruire qualcosa, anche se nulla di molto forte in termini elettorali. Anche dare all'intero sistema politico una torsione neocentrista mi pare possibile, e pure probabile, ma resto molto contrario a quest'ipotesi. Vedo il rischio del ritorno a un modello di democrazia bloccata in stile Prima Repubblica, con Meloni e forse anche Salvini tagliati fuori come allora lo era il Partito comunista, senza che vi siano la grammatica istituzionale e i partiti forti della Prima Repubblica. A mio avviso sarebbe un enorme passo indietro rispetto a quel che è stata la democrazia italiana negli ultimi tre decenni, malgrado i suoi difetti. Continuo a pensare che il bipolarismo rappresenti la migliore eredità del berlusconismo».

Ma non è possibile avere in Italia un partito come la Cdu che guarda al Ppe?

«Bisognerebbe recuperare i voti. La Cdu, dopo aver governato per lunghi anni e nel momento peggiore della sua crisi, è un partito che, comunque sia, alle scorse elezioni ha raccolto il 24% dei voti. È chiaro che avere un grande centrodestra popolare forte sarebbe un elemento virtuoso di stabilizzazione del sistema. Il problema è che il centro oggi in Italia è affollato di leader che vengono da culture politiche diverse, scarsamente componibili l'uno con gli altri e di debole appeal elettorale. Non lo vedo oltrepassare di molto il 10%, in queste condizioni. Certo, se il sistema si proporzionalizza e torna neocentrista, con il 10% al centro si può fare moltissimo. Il modello in questo caso non è la Cdu, però, ma i liberali tedeschi, la Fdp, per come hanno funzionato in passato».

E che idea si è fatto della proposta politica della Meloni?

«Meloni rischia di fare la fine di Marine Le Pen, soprattutto con una legge elettorale proporzionale. Già adesso sta montando nei sondaggi e può crescere ancora. Ma se ti tagliano fuori puoi anche arrivare al 30%, non ci fai poi molto. Il vero punto interrogativo resta Salvini, che rischia di rimanere tagliato fuori pure lui. Deve decidere se vuole andare verso il proporzionale e provare a essere accettato come possibile partner di governo guardando al centro oppure giocarsi la partita bipolarista e ritrovare un accordo con Meloni. Al momento mi pare indeciso tra le due opzioni e, un po' come l'asino di Buridano, rischia di ritrovarsi a bocca asciutta. La partita passa dalla riforma della legge elettorale, ossia se Salvini accetterà la svolta proporzionalista oppure no».

Ma, in Italia, le elezioni non si vincono comunque al centro?

«Dipende. Anzi, Salvini ha sfondato rompendo con i discorsi moderati e politicamente corretti.

E comunque, un conto è dire che si vince al centro, un altro che il centro vince. Col bipolarismo non esiste un partito di centro, ma ci sono i voti degli elettori centristi che vengono contesi tra una coalizione di destra e una di sinistra».

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