Ribadire l'impegno dell'Italia per la stabilità di una Libia divisa e tenere sotto stretta osservazione il delicato dossier immigrazione, tema caldo sia per le contingenti ragioni legate alla campagna elettorale sia in vista dei mesi estivi durante i quali si registrano fisiologicamente picchi di partenze e sbarchi. È questo il doppio binario sul quale si muove la trasferta di Giorgia Meloni in Libia, restata riservata e fuori dall'agenda ufficiale comunicata da Palazzo Chigi fino a lunedì sera «per ragioni di sicurezza» e «su richiesta dell'intelligence». La visita di ieri è infatti in due tappe. La prima nella mattina, a Tripoli. Dove la premier incontra il primo ministro del governo di unità nazionale libico Abdul Hamid Mohammed Dabaiba e, successivamente, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi. La seconda nel pomeriggio, a Bengasi. Dove Meloni ha un colloquio con il generale Khalifa Belqasim Haftar, ras della Cirenaica e artefice del governo non riconosciuto dall'Onu e che ha espresso come proprio primo ministro Osama Hammad (di fatto manovrato dallo stesso Haftar).
La stabilità dell'area è per il governo italiano di fondamentale importanza, non solo in un più ampio quadro geopolitico ma anche per favorire un maggiore controllo delle partenze dai porti africani. Dopo il boom di sbarchi del 2023, oggi il trend è in decisa discesa. Secondo i dati del Viminale aggiornati a ieri, dal primo gennaio al 7 maggio 2024 sono sbarcati 17.609 migranti contro i 44.684 arrivati nello stesso periodo del 2023. Un calo del 60,59%. Rispetto agli ultimi anni, però, la Libia ha ormai scavalcato la Tunisia ed è il principale Paese da cui partono i migranti che arrivano in Italia: 9.466 al 7 maggio 2024, quasi un quarto del totale. Ragione per cui, oltre a manifestare ai suoi interlocutori apprezzamento per «i risultati raggiunti dalla cooperazione» tra i due Paesi «in ambito migratorio», la premier ha anche ribadito la necessità di continuare e intensificare gli sforzi.
Accompagnata dai ministri Andrea Abodi (Sport), Anna Maria Bernini (Università e ricerca) e Orazio Schillaci (Salute), Meloni ha sottoscritto delle dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione nella cornice del Piano Mattei. E, in particolare, ha ribadito l'impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti, soprattutto nel settore energetico e infrastrutturale. E va in questa direzione la decisione - formalizzata durante il colloquio con Dabaiba - di organizzare un business forum italo-libico entro la fine dell'anno. Meloni ha poi ribadito «l'impegno dell'Italia per la stabilità della Libia», anche «sostenendo gli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite che dovranno condurre a elezioni presidenziali e parlamentari».
A Bengasi, invece, la premier ha ribadito a Haftar «l'importanza di far progredire il processo politico, preservando l'unità delle istituzioni libiche» e di
«lavorare per porre fine alla presenza di forze straniere» sul suolo libico. Un chiaro riferimento alla forte influenza russa in Cirenaica, dove sono presenti i paramilitari e i contractor filorussi della brigata Wagner.
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