"Mercato di dati rubati". Nel mirino vip e aziende

Migliaia di accessi abusivi, 4 arrestati, 45 accuse e 51 indagati. Tra questi Pazzali, i banchieri Fabio e Matteo Arpe e Del Vecchio jr

"Mercato di dati rubati". Nel mirino vip e aziende
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Carabinieri, investigatori della Dia, ex agenti segreti, poliziotti: tutti al servizio di una macchina da dossier che da un ufficio sotto il Duomo di Milano spiava e intercettava. Ecco l'altra faccia dell'assalto alle banche dati: il business per conto delle aziende grandi e piccole, della lotta con i rivali e soprattutto delle indagini interne, alla ricerca di dipendenti infedeli o di soci pericolosi, condotta con ogni mezzo. L'inchiesta della Procura di Milano e della Direzione nazionale antimafia scoperchia il lato finora inesplorato della frenesia da dossier che sembra percorrere il paese. A utilizzare i servizi della macchina da dossier milanese, nomi altisonanti dell'imprenditoria: i banchieri Fabio e Matteo Arpe, l'erede di Luxottica Leonardo Maria Del Vecchio, Banca Profilo, la Barilla, la birra Heineken, i petrolieri della Erg. Tutti incriminati dai pm milanesi per accesso abusivo a sistemi informatici, accusati di essere pienamente a conoscenza dei metodi impiegati.

Quattro arrestati, cinquantun indagati, quarantacinque capi d'accusa, migliaia di accessi abusivi a banche dati segrete, intercettazioni abusive a colpi di trojan. Il cuore di tutto stava in via Pattari 6, sotto la Madonnina: Equalize, azienda specializzata nel tutelare e ricostruire la reputazione informatica delle aziende. Alla testa, una leggenda della polizia di Stato: Carmine Gallo, ispettore della Criminalpol e poi della Dia, sbirro di fiducia di una generazione di magistrati; azionista di maggioranza Enrico Pazzali, presidente di Fiera Milano, manager di efficienza indiscussa. Gallo viene messo agli arresti domiciliari, stessa sorte per i tre hacker accusati di avere «bucato» per conto di Equalize le banche dati dei ministeri dell'Interno, della Giustizia, della Finanza. Unica incursione nel mondo della politica, sembrerebbe la ricerca di notizie negative nella cerchia di Letizia Moratti per scongiurare il tentativo dell'ex sindaco di conquistare la presidenza della Regione Lombardia. Per il resto, tutto si muove nel mondo della reputation e della security aziendale, terra di budget illimitati.

Il lavoro sporco, quello semplice, lo facevano gli uomini delle forze dell'ordine ancora in servizio. I più alacri un maresciallo della Dia di Lecce, un poliziotto del commissariato dove lavorava Gallo, frugando quasi a tempo pieno i computer per scoprire vita e affari dei «bersagli» delle indagini. Il compenso che ricevevano era poca cosa, un ex carabiniere viene pagato con un paio di Hogan e un vestito su misura. Ma dove non arrivano i poliziotti frugando nel computer dell'ufficio, entrava in scena la vera arma di Equalize, la squadra di smanettoni in grado di scavallare le protezioni informatiche dei server pubblici e privati. E persino di inoculare trojan abusivi sui telefoni degli obiettivi.

I clienti finiti sotto inchiesta ieri si proclamano ignari dei metodi seguiti da Equalize, Arpe si dichiara «stupito», Banca Profilo dice d avere firmato con la società di Gallo «un regolare e formale» contratto. Ma secondo l'ordinanza di arresto firmata dal giudice Fabrizio Filice il valore aggiunto offerto da Equalize erano proprio le notizie provenienti da fonti riservate, che nei report ai clienti venivano mischiate alle analisi di fonti aperte, con «una raffinata tecnica commerciale» in cui Gallo e i colleghi si presentano «facendo capire benissimo ai potenziali clienti che solo loro hanno accesso alle informazioni istituzionalmente protette e per altri inaccessibili e irrealizzabili, come i precedenti penali e di polizia, le indagini in corso, qualsiasi tipo di segnalazione o controllo delle forze dell'ordine, documenti giudiziari relativi a indagini o processi». Alcuni clienti, come Del Vecchio ed Erg, appaiono ben consapevoli dei metodi di Equalize. Altri, probabilmente, hanno preferito non interrogarsi.

Dimenticandosi che frugare nei computer è un reato «anche nei casi - scrive il giudice - in cui ciò dovrebbe essere finalizzato a tutelare il patrimonio aziendale, come almeno apparentemente sembrano abbia voluto fare».

LF

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