Una telefonata allunga la vita. Valeva per Massimo Lopez nella famosa pubblicità anni '90, vale per Ucraina, Russia e Cina estremamente interessate - ciascuna per proprie ragioni - a cercare un'alternativa al conflitto che infuria da Kherson alle regioni del Donbass. L'Ucraina, lo si è capito, teme di non avere né gli uomini sufficienti, né gli armamenti necessari a lanciare la tanto annunciata offensiva di primavera. La Russia, seppur fiduciosa nella tenuta delle doppie e triple linee di difesa scavate e fortificate lungo tutte le retrovie ha ormai capito che la guerra è sempre una grossa incognita. E, proprio per questo, preferirebbe evitare un sanguinoso e imprevedibile confronto con le nuove armi occidentali e con i militari ucraini addestrati dalla Nato. E poi c'è la Cina. Per Pechino vestire i panni di inedito e importante negoziatore internazionale è fondamentale non solo per contrapporsi agli Stati Uniti, ma anche per conquistare l'attenzione di un Europa che in questi 14 mesi di guerra ha preso le distanze dal Dragone riallineandosi a Washington e rafforzando la Nato.
Nell'intreccio di interessi convergenti creato mercoledì dalla telefonata tra il presidente cinese Xi Jinping e l'omologo ucraino Volodymyr Zelensky, la posizione del Cremlino resta però la più complessa e la più contraddittoria. Ieri commentando il colloquio tra il presidente cinese e quello ucraino il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha sottolineato che Xi Jinping non ha mai affrontato con Vladimir Putin il tema di un ritorno dell'Ucraina alla piena sovranità sui confini del 1991. La precisazione punta a smorzare l'entusiasmo acceso dal passaggio della telefonata, reso pubblico proprio da Pechino, in cui si spiega che Xi si è impegnato ad «avviare colloqui, ristabilire e preservare la pace, i confini riconosciuti e la sovranità di ogni Paese». In quell'accenno a «confini riconosciuti» e alla «sovranità di ogni Paese» il Cremlino legge l'indebito riferimento a un negoziato incentrato sulla restituzione della Crimea o dei territori annessi a fine settembre. Un negoziato che dal punto di vista di Mosca non può aprirsi prima dell'eventuale conquista di tutto il Donbass. E che comunque potrà al massimo riguardare i territori della provincia di Kherson e della parte più orientale dell'oblast di Zaporizhzhia. Anche perché il Cremlino, per quanto obbligato a cercare l'amicizia e l'alleanza di Xi Jinping, non è certo felice di diventare lo strumento di negoziati contrari ai propri interessi.
Nella prospettiva russa una trattativa con regia cinese è utile e proficua solo finché aiuta a evidenziare l'immagine di un'America bellicista alimentando la voglia negoziale dei Paesi europei e allontanandoli dalle sponde atlantiste. La mediazione cinese rischia, invece, di rivelarsi insidiosa se costringe Mosca ad accettare l'idea di un negoziato troppo anticipato rispetto alle capacità di avanzata delle sue truppe. Truppe che, complice il sanguinoso stallo di Bakhmut, sono ancora ben lontane dal mettere le mani su Sloviansk, Kramatorsk e sugli altri territori del Donetsk ancora in mano agli ucraini. E qui salta fuori il tema della non proprio consolidata fiducia di Mosca nell'alleato cinese. Un alleato indispensabile per vendere petrolio, gas e materie prime, ma anche assai attento a strappare prezzi di favore e a negare a Mosca armi o componenti strategici capaci di far scattare la tagliola delle sanzioni americane.
Insomma dietro lo schermo della decantata «amicizia senza limiti» si gioca una complessa partita a scacchi in cui il Cremlino deve saper dosare la tradizionale e storica diffidenza nei confronti dell'alleato cinese e la necessità di preservarne l'amicizia per garantirsi quei commerci e quei rapporti internazionali che le sono ormai preclusi sul versante occidentale. Il tutto con un occhio all'orologio e al calendario.
Perché se la trattativa cinese serve ad allungare il brodo della guerra allora sia l'America, distratta da un'imminente campagna presidenziale, sia l'Europa, provata economicamente, potrebbero decidere che in fondo per l'Ucraina si è già fatto e speso abbastanza.
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