L'avvocato Pierantonio Zanettin è stato membro laico del Consiglio superiore della magistratura e oggi è capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia della Camera.
Lega e Fi sono al governo: realizzeranno la riforma che invocano da anni?
«Faremo di tutto, ma non è scontato perché abbiamo come compagni di viaggio il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. Se c'è un punto su cui questa maggioranza variopinta e composita è divisa, è quello della giustizia».
Come interpreta i primi segnali del governo e del ministro della Giustizia Marta Cartabia?
«Molto positivamente, rispetto all'oscurantismo di Bonafede. Abbiamo fiducia nel Guardasigilli che, con l'autorevolezza di ex presidente della Corte costituzionale, può condurre una mediazione di alto livello».
Il ministro ha annunciato una consultazione con Associazione nazionale magistrati, Camere penali, Consiglio nazionale forense. Il metodo dell'ascolto è giusto?
«Certo e quelle dell'avvocatura coincidono con le nostre posizioni, ma veniamo da 3 anni di controriforma, un incubo con un passo indietro sulla tutela delle garanzie, ed è urgente intervenire. La Cartabia ci ha dato grandi speranze, ma per fare le sue proposte attende le conclusioni delle commissioni ministeriali su processo penale e civile, ordinamento giudiziario e riforma del Csm».
Il quadro parlamentare, invece, com'è?
«Preoccupante, se su una questione che appare scontata come la commissione d'inchiesta sul caso Palamara e l'uso politico della giustizia, c'è l'ostruzionismo di Pd e M5S».
Lo scandalo Palamara che cosa ha rivelato?
«Per noi del centrodestra è stata la scoperta dell'acqua calda. Da vent'anni denunciamo le commistioni tra politica e magistratura, ora almeno chi insisteva a negarle deve arrendersi all'evidenza. Ma è sorprendente che, due anni dopo, la politica sia ancora inerte, fa lo struzzo per debolezza e per resistenze di alcuni partiti».
Per Salvini è stato usato il «metodo Berlusconi»?
«In Italia quando un leader, soprattutto di centrodestra, alza la testa sul tema giustizia arrivano le inchieste per indebolirlo o addirittura levarlo di mezzo, come con Berlusconi. La magistratura non può condizionare le scelte politiche di un Paese, ma da noi è un fenomeno ricorrente. Il caso di Salvini ci insegna due cose: il Parlamento non doveva autorizzare un processo su scelte politiche e la discrezionalità dei pm porta a decisioni opposte su fatti sostanzialmente uguali, come avvenuto a Catania e a Palermo».
Quali priorità allora per la riforma?
«Per limitare lo strapotere dei pm serve una semplificazione con reati chiari, non evanescenti come ad esempio abuso d'ufficio, traffico d'influenze, voto di scambio politico-mafioso nell'ultima versione Bonafede, che lasciano ai magistrati largo spazio discrezionale. Urgentissima è la riforma del Csm, perché l'attuale scade a settembre 2022 e si rischia di eleggere il prossimo con le vecchie regole. Ripristinare la prescrizione, che oggi calpesta il principio della ragionevole durata del processo. Limiti all'uso delle intercettazioni, dei trojan, allargato invece con lo spazzacorrotti».
Niente separazione delle carriere?
«Con questa maggioranza è difficile, ci penserà il centrodestra quando governerà da solo. Ma sul resto, si possono trovare accordi».
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