Milano. Fermezza e umanità. L'Italia non fa marcia indietro in tema di migranti. La rotta è quella concordata in seno al governo, e il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, ieri l'ha illustrata chiaramente, confermando l'impulso che da Roma è partito nei giorni scorsi in due direzioni: da un lato i poteri statali, dall'altro l'Europa e le Ong (di fatto, alleate). Assistere chi ha bisogno, ma non accogliere indistintamente tutti coloro che sono stati «raccolti» dalle Ong. «Le persone che hanno i requisiti possono sbarcare - ha spiegato il ministro - ci facciamo carico dei problemi di ordine assistenziale e umanitario senza derogare al fatto che gli obblighi di presa in carico competono allo Stato di bandiera». «Saremo fermi su questo principio - ha sintetizzato - non venendo fermi sugli obblighi di natura umanitaria».
Tradurre in pratica questo principio, Piantedosi lo sa, non sarà facile. Per riuscirci, il nuovo governo italiano vuole costruire un filtro a monte, identificando le persone e accertandone la «vulnerabilità». Chi non ha bisogno di cure o aiuto, può e deve tornare fuori dalle acque territoriali. E devono farsene carico gli altri Paesi.
Antefatto di tutto è la manovra di avvicinamento di quattro navi, battenti bandiera tedesca o norvegese (Humanity 1, Ocean Viking, Geo Barents e Rise Above) che puntano a entrare in acque territoriali italiane con mille persone a bordo, molte dei quali bambini, e con l'obiettivo di far sbarcare tutti, a prescindere da età e condizione personale. L'ufficio legale di «Sos Humanity» proprio ieri ha sentenziato che i provvedimenti del governo sarebbero «illegali». «Tutte le 179 persone soccorse in mare a bordo di Humanity 1, così come a bordo delle navi di soccorso civile - sostiene Mirka Schäfer - hanno bisogno di protezione. L'Italia è obbligata a lasciare che tutti i sopravvissuti scendano a terra immediatamente».
Di contro, il nuovo corso maturato nell'esecutivo del nostro Paese, e formalizzato in un provvedimento interministeriale, impone l'aiuto ai deboli (minori, donne incinte, madri con bambine piccole, ammalati) mentre sugli altri pretende il coinvolgimento dell'intera Europa, e la responsabilità particolare dei «Paesi di bandiera», di cui le navi per diritto sono un'emanazione territoriale.
Piantedosi, ieri, era alla sua prima uscita ufficiale. In Prefettura, a Milano, ha presieduto il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, incentrato prevalentemente sulla criminalità urbana. Nel punto stampa che ha fatto seguito al vertice, interpellato su questa ennesima emergenza, da uomo delle istituzioni ha ammesso anche che costruire un nuovo rapporto con gli altri Paesi europei «è di difficile attuazione», ma ha sottolineato anche che «questo Governo ha il merito di aver iniziato a registrare qualche apertura alla discussione» anche se - ha concluso - «siamo consapevoli che non sono azioni che si aprono con forza e men che meno a discapito delle povere persone che sono in condizione di fragilità sulle navi, a prescindere dalla loro provenienza».
Eccolo, dunque, il metodo Piantedosi squadernato a Milano: massimo impegno umanitario e massimo rigore, con l'obiettivo di fermare quelli che anche ieri il ministro leghista Roberto Calderoli ha definito «i taxi del mare».
Il governo di Giorgia Meloni, insomma, non vuole dare argomenti a chi accusa il centrodestra di xenofobia o «disumanità», ma non retrocede dall'intenzione di stroncare sul nascere quello che ha tutta l'aria di essere un servizio di immigrazione parallelo, ammantato di buoni sentimenti ma spesso anche redditizio, per tutto un indotto dell'accoglienza. «Il messaggio che deve arrivare è questo: quando uno è irregolare, torna a casa» come ha sintetizzato Caderoli.
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