Più tempo passa e più la situazione per Sigfrido Ranucci si complica. Non solo sotto il profilo delle sue eventuali responsabilità nel giro di false fatture e di dossier. Come sappiamo, nel filmato del 13 febbraio 2014 (non inedito ma mai manipolato) pubblicato dal Riformista, pur di accaparrarsi un fantomatico video hard che avrebbe inguaiato l'allora sindaco di Verona Flavio Tosi in mano a presunti intermediari della 'ndrangheta, Ranucci millantava un metodo Report fatto di agganci con 007 interessati ai dossieraggi («noi siamo lo Stato nello Stato»), diceva di «avere in mano cinque Procure» e di controllare molte notizie attraverso il fratello che lavora per la Guardia di Finanza («Ecco perché vengo a sapere certe informazioni»). Il tutto attraverso un giro di false fatture per nascondere il materiale di dubbia provenienza con tanto di moduli, tanto da insistere affinché l'interlocutore li firmasse. Ma il video hard non sarebbe mai esistito. Anzi, Milena Gabanelli - che al suo braccio destro ha lasciato il timone di Report nel 2016 - disse chiaramente che era stato un «trappolone» nel quale Ranucci era caduto con tutte le scarpe, trascinando nel ridicolo la trasmissione «dopo 17 anni di onorato servizio».
Sul possibile danno erariale alla Rai sono già al lavoro l'audit di Viale Mazzini e la Corte dei Conti attraverso il procuratore generale del Lazio Pio Silvestri, senza dimenticare gli strascichi ipotizzati ieri da Repubblica dell'inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura di Roma sull'ex responsabile dell'Ufficio Acquisti Rai finito agli arresti per un giro di mazzette e favori.
Dalle carte del processo intentato da Tosi, pubblicate ieri da Aldo Torchiaro sul Riformista, emergono altre dichiarazioni clamorose. «Non è vero che mio fratello mi passa informazioni, è falso che ho agganci a vari livelli anche in Procura a Verona, la falsa fatturazione è una cosa che mi sono inventato sul momento perché giustificava l'acquisto del video», disse Ranucci ai pm del processo intentato da Tosi, ammettendo «alla fine cado nel trappolone». Che credibilità ha chi oggi dice che le sue parole erano un bluff?
A destare preoccupazione nei vertici di Viale Mazzini è infatti soprattutto il profilo reputazionale di Ranucci, vicedirettore Rai e conduttore di una trasmissione storica come Report, finito assieme alla sua squadra in un cono d'ombra tra sospetti e veleni che appannano l'immagine del programma d'inchiesta, punta di diamante della prima azienda culturale del Paese.
Un segnale confermato anche dalla decisione di Fabio Fazio e Bianca Berlinguer di ospitare su Raitre i «nemici» di Ranucci come il direttore del Riformista Piero Sansonetti e il consigliere di Vigilanza Rai di Forza Italia Andrea Ruggieri, che ha inguaiato Ranucci per un sms del conduttore in cui millanta «78mila dossier sui politici», anche se il vicedirettore Rai getta acqua sul fuoco («In Rai c'è libertà d'espressione»).
Secondo fonti interne alla stessa trasmissione, più di un collega di Report avrebbe chiesto a Ranucci di non mescolare più il suo nome e quello della trasmissione, soprattutto sui social, per evitare che certe cadute di stile del giornalista trascinino la redazione nel ridicolo. Esattamente come otto anni fa.
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