Il risultato è servito: un risultato umiliante per il centrodestra sia a Milano, che a Roma e Torino. Ora che le bocce sono ferme, sarà il caso di capire fino in fondo il significato di questa sconfitta per trarne lezione. Che cosa è successo? È successo che si è adottato un criterio di selezione che ha prodotto candidati rifiutati dagli elettori. Il criterio che ha causato il disastro è stato questo: in ogni città, il candidato è stato imposto da quel partito della coalizione che in quella città è più forte degli altri due. In questo modo, Matteo Salvini ha scelto il candidato di Milano, Giorgia Meloni quello di Roma e Silvio Berlusconi con Antonio Tajani hanno scelto quello per la Calabria, l'unico che sia andato trionfalmente perché non ha preso soltanto i voti di Forza Italia che ha una base molto forte in quella Regione ma anche i voti arrivato da altri bacini, per un motivo che a cose fatte appare indiscutibile: Roberto Occhiuto si è dimostrato capace di proporsi come sintesi di tutto il centrodestra, cosa che a quanto pare non è avvenuta nelle tre grandi città della sconfitta, i cui candidati non avevano alle spalle che il proprio leader di riferimento ma non l'elettorato d'opinione.
Guardiamo il fenomeno che accompagna le tre sconfitte del centrodestra: il Pd ha recuperato tutti i voti che a suo tempo aveva perso a favore del M5S e se li riporta a casa. In quella migrazione, il centrodestra non intercetta neanche una scheda. Evidentemente, il candidato presentato a Roma dal centrodestra, scelto personalmente dalla Meloni, non era in grado di intercettare gli elettori in fuga dal Movimento Cinque Stelle. Ci sarà una ragione.
A Milano, stessa storia: Sala vince a mani basse. E a Torino i voti pentastellati tornano disciplinatamente nel Pd senza lasciar traccia sulle schede del candidato Damilano. Il risultato è sotto i nostri occhi e questa ci sembra la lezione: se si deve affrontare una elezione maggioritaria, il criterio di scelta va cambiato. Un sistema maggioritario impone candidature che siano talmente convincenti, come è accaduto in Calabria, da andare oltre la forza del partito che le sponsorizza. Come dovrebbe funzionare il nuovo criterio? Le urne parlino da sole: falliscono i candidati imposti dal partito più forte e si deve scegliere invece candidati che rappresentino la migliore sintesi dell'alleanza. Niente sintesi, niente vittoria.
Se il candidato è imposto a scatola chiusa, il cavallo non beve: l'elettore non ama imposizioni, specialmente se non viene da uno dei partiti coalizzati ed è in quel caso l'elettore indispensabile per vincere. Naturalmente, un tale nuovo criterio con cui ottenere la sintesi anziché il trofeo del più forte, richiede umiltà, realismo e spirito di squadra.
Dare per scontato che la maggioranza sia comunque di centrodestra, è ingannevole perché non esistono più maggioranze precotte, ma solo maggioranze da conquistare di volta in volta con una leadership, mancando la quale si crea solo un'illusione, madre delle sconfitte di Milano, Roma e Torino che sono sotto i nostri occhi. Prima si cambia metodo, meglio è per il centrodestra e per la democrazia italiana che ha bisogno anche della gamba destra oltre che di quella sinistra.
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