
«Non so se quella del Manifesto di Ventotene è la vostra Europa, ma certamente non è la mia». Giorgia Meloni sceglie consapevolmente quello che in una partita di calcio potrebbe essere il 98esimo minuto per lanciare l'affondo che accende l'aula della Camera come forse mai era successo in questa legislatura. Quasi un fulmine a ciel sereno, dopo che le comunicazioni della premier in vista del Consiglio Ue - passaggio parlamentare obbligato ormai dal 2012 - erano filate via piuttosto in sordina sia martedì in Senato che ieri a Montecitorio. Almeno durante i tempi regolamentari. Poi, negli ultimi tre minuti della sua replica alla Camera, il cambio di passo e il frontale con l'opposizione che sabato scorso è scesa in piazza a Roma a sostegno dell'Europa «richiamando il Manifesto di Ventotene» del 1941, considerato uno dei testi fondanti dell'Unione europea. «Ne cito letteralmente alcuni passi salienti», dice Meloni leggendo i suoi appunti. Primo: «La rivoluzione europea dovrà essere socialista». Secondo: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso». Terzo: «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono essere amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente». Quarto: «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». E chiusa in crescendo: «Attraverso la dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia».
La premier non ha neanche il tempo di abbassare il microfono che, come era ampiamente prevedibile, l'opposizione esplode. Il più acceso e appassionato è il dem Federico Fornaro, seguito dal collega Giuseppe Provenzano. Ma anche dai banchi di M5s e Avs si levano urla e proteste. Finisce con la seduta che viene sospesa e i lavori della Camera che slittano di diverse ore. D'altra parte, che la miccia accesa da Meloni fosse altamente esplosiva era nelle cose. Perché la premier ha volutamente puntato il dito su alcuni passaggi specifici di un testo che non solo è ben più ampio, ma che risale al 1941 e a un contesto storico ben preciso, con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi che lo scrissero nel periodo in cui erano stati confinati a Ventotene per essersi opposti al regime fascista. Non è un caso che in Forza Italia ci sia più di un malumore, che però si limita alle chiacchiere da Transatlantico senza rimbalzare in dichiarazioni pubbliche. E deve aver colto l'aria il vicepremier Antonio Tajani, che a sera chiude ogni eventuale polemica e spiega che Meloni «ha criticato alcuni contenuti del Manifesto di Ventotene» ma «non ha mai offeso Spinelli».
Alla fine, dunque, tutti i riflettori si spostano dai temi in agenda al Consiglio europeo di Bruxelles - il piano ReArm Eu, la difesa comune, i negoziati per la pace in Ucraina - al Manifesto di Ventotene. E vanno sfumando le divisioni più o meno sotterranee che hanno accompagnato questa due giorni di comunicazioni in Parlamento. Quelle all'interno della maggioranza, perché se martedì la Lega sembrava aver abbassato i toni, già ieri il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari rilanciava facendo sapere che Meloni «non ha il mandato di approvare il ReArm Eu». Ma anche quelle nell'opposizione, che si è sfilacciata su ben sei diverse risoluzioni.
E anche le dichiarazioni di voto che seguono la replica di Meloni sono a rimorchio dello scontro che si è appena consumato. Con Elly Schlein e Giuseppe Conte che puntano il dito contro l'assenza della premier che «è fuggita di nuovo» dal Parlamento. In verità, spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, è assente solo a causa dello slittamento dei lavori parlamentari perché «già in volo per Bruxelles». La segretaria del Pd attacca anche sulle divisioni nella maggioranza. «La Lega ha detto che Meloni non ha il mandato per approvare il ReArm Eu. È stata commissariata e - insiste - non ha agibilità politica».
La replica arriva dal capogruppo di Fdi alla Camera, Galeazzo Bignami, che la definisce «semi-segretaria del Pd» perché «dimezzata dal suo stesso partito». Poi, quando è ormai sera, la premier torna sulle polemiche della giornata. «Ho fatto arrabbiare? Ho letto un testo e - dice Meloni a Bruxelles - non capisco cosa ci sia di offensivo».
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