"La mia Odessa che ama l'arte ma è sempre abitata da guerre"

Il poeta ucraino, esule in Usa: "Vidi la prima operazione umanitaria russa in Transnistria da piccolo. E i rifugiati"

"La mia Odessa che ama l'arte ma è sempre abitata da guerre"

Repubblica sorda (La nave di Teseo) di Ilya Kaminsky «si apre con un ragazzo sordo ucciso sulla pubblica piazza da un soldato di un esercito invasore»; una barbarie di fronte alla quale «l'intera comunità decide di protestare rifiutandosi di ascoltare l'autorità: tutti i cittadini si comprendono a vicenda con il linguaggio dei segni». E però «nel mezzo di questa violenza, le persone comunque si innamorano, ridono, fanno figli». Così il poeta ucraino racconta, in poche righe in prosa, il suo poema, premiato ed acclamato in tutto il mondo. Nato a Odessa nel '77, quando era ancora parte dell'Unione sovietica, sordo fin da bambino, Kaminsky è da anni cittadino americano, dopo aver lasciato il suo Paese nel '93 «a causa dell'antisemitismo». Repubblica sorda non è un poema solo sulla Russia, o sull'Ucraina, o sugli Stati Uniti. È uscito nel 2019. Ma, come capita alla poesia, parla proprio di oggi, e di noi.

Ilya Kaminsky, Repubblica sorda si apre con la poesia Noi vivevamo felici durante la guerra. È così anche ora?

«Sono cresciuto assistendo al crollo dell'Urss e alla guerra in Transnistria, la prima cosiddetta campagna di aiuto umanitario della Russia, che era molto simile all'attuale guerra in Ucraina, benché meno ben pubblicizzata. Poi sono arrivato negli Usa dove, per dodici anni, ho vissuto a 8 miglia di distanza dal confine col Messico, ed era comune essere fermati dagli agenti, o vedere persone portate via sui camioncini... E poi c'è la brutalità della polizia sui neri, così evidente in questi anni».

Sempre violenza?

«Come autore, non potevo non notare certe similitudini fra le immagini di violenza causate da questo impero e quelle della violenza nell'Est Europa. E poi, allo stesso tempo, c'è la felicità. Le persone si innamorano, ridono, fanno figli».

Di quale felicità si parla?

«All'inizio il poema è carico di ironia sulla grandiosità della nostra nazione capitalista e mostra, beh, la felicità di vivere girando le spalle - la beata ignoranza. Il poema non vuole essere una dichiarazione ma un campanello d'allarme: le Repubbliche sorde, con le loro speranze, proteste e complicità, sono ovunque. Noi viviamo nella Repubblica sorda».

Siamo complici?

«C'è ironia nel vedere i cittadini dell'impero americano mostrare tanto interesse per le vittime dell'impero russo... Nel 1999/2000, Putin ha lanciato missili balistici su Grozny: l'Occidente ha gridato per cinque minuti, poi abbiamo dimenticato. Siamo incoraggiati a dimenticare. Perché? Il nostro grande paese del denaro, dice il poema».

Che cosa ricorda di quando viveva a Odessa?

«Di domenica, i miei genitori e i loro amici si riunivano intorno al tavolo della cucina, gridando: chi è meglio, Achmatova o Cvetaeva?, che cosa accadrà alle riforme di Gorbaciov?, esiste un Dio? Di giorno, mio padre e mia madre stavano in coda per il latte, eppure di notte qualcuno urlava: Non sono una persona religiosa!, ma credo che ci sia del divino in noi! Ecco, se c'è una chiesa a cui vorrei appartenere, è la Chiesa del Tavolo della Cucina di via Sovetskaya Militsia 33, appartamento numero 1, a Odessa».

E mentre finiva l'Urss?

«Quattro anni prima del crollo, durante le riforme proibizioniste di Gorbaciov, l'alcol era impossibile da trovare. Giro in bicicletta e vedo una folla di ubriaconi in coda davanti alle profumerie e, ecco, non stanno comprando un regalo per le loro mogli: è che bevono qualsiasi cosa, dall'acqua al cetriolo al costoso Red Moscow. E gli uomini non hanno mai avuto un profumo migliore nella storia della nazione...»

Quanti anni aveva?

«Otto, nove. Ma, se sei come me, sei sempre un ragazzino di 9 anni che osserva, tutto solo eppure non da solo perché, vedi, ci sono così tanti ubriachi a Odessa, ed emanano tutti un profumo meraviglioso... Un ragazzino nato in Sovetskaya Militsia 33, un cortile dove i bambini litigavano sempre. Ci chiamavano quelli del Cortile degli Idioti. È da lì che vengo».

Che città è Odessa?

«Una città a misura d'uomo, dove l'opera è arrivata prima dell'acqua potabile. Odessa ama l'arte e le feste. Ci sono più monumenti a scrittori che in qualsiasi città abbia visitato».

È fuggito dall'Ucraina con la sua famiglia. Che cosa ha provato quando ha visto le colonne di profughi?

«Torni indietro con me di trent'anni. L'Urss sta crollando e la mia prima guerra fa la sua comparsa a sole due ore da casa mia. No, non vedo le esplosioni nel mezzo della Repubblica di Transnistria: vedo solo i rifugiati. E vedo una donna che si fa largo tra la folla, ficca una foto sotto la mia faccia e muove le labbra freneticamente, ma io le dico: non ti sento. Le indico le mie orecchie. E allora chiede a un altro bambino di Odessa, e a un altro, a un altro, e vedo i tratti deformati del suo volto... Hai visto mia figlia?».

Intende dire...

«Che la guerra non se n'è mai andata. Nel 1918, l'anno in cui è nata la madre di mia madre, la sua famiglia ha attraversato il confine circa sei volte, senza neanche lasciare l'appartamento di Odessa. Mese dopo mese, la regione veniva invasa da vari reggimenti stranieri: greci, francesi, polacchi, tedeschi, rumeni, britannici, austro-ungarici».

E poi?

«Mia madre è nata nel 1939. Non c'è bisogno che le dica che cosa è successo nel 1939. Quando ero bambino, un fiume di rifugiati dalla Transnistria. E, ora, anche le persone di Odessa sono dei rifugiati. La guerra non se n'è mai andata. Un mio amico mi ha scritto: L'Occidente ci guarda. È il loro reality tv di guerra: sono curiosi di scoprire se andremo avanti a vivere, o se moriremo».

Come le è venuta l'idea della sordità come protesta?

«Non ho avuto ausili fino a 16 anni. Da bambino sordo, ho sperimentato il mio Paese come una nazione senza suono. Ho sentito l'Urss finire a pezzi con i miei occhi. E poi mi sono detto: e se l'intero paese fosse sordo come me? Così che, quando un militare griderà un ordine, nessuno potrà sentire? Ho cercato di immaginarlo. Il silenzio: l'ultimo luogo, non ancora toccato, come sempre, dalla saggezza dei governi».

Il silenzio è un'arma, ma è anche pericoloso?

«Per una persona sorda, il silenzio non esiste. È un'invenzione di chi sente».

L'arte può avere un ruolo nel combattere per la libertà?

«Un poema è una magia; deve gettare un incantesimo sul lettore, in questo momento. Se non lo fa, fallisce».

La sua prima raccolta di poesie si intitolava Dancing in Odessa: che cosa significa?

«C'è un verso che lo spiega: We dance to keep from falling. Balliamo per non cadere».

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