È la versione di Gianluca Savoini quella affidata al libro Da Pontida al Metropol. La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega, in uscita per Signs Publish a fine mese. È la versione dell'uomo che, per anni, ha fatto da ponte tra la Lega, prima di Umberto Bossi e poi di Matteo Salvini, e la Russia. E che ora, a distanza di cinque anni dallo scandalo che lo ha coinvolto, più giornalistico che giudiziario, ha deciso di raccontare in un libro.
E lo fa partendo dalle origini, da quando, poco dopo esser entrato nella Lega, sceglie di far parte della consulta Affari esteri del partito. Gli chiedono di quale area del mondo intende occuparsi. Savoini non ha dubbi: la Russia. «Per caso sei comunista?», gli chiede un funzionario del movimento. Comincia così, agli inizi degli anni Novanta, il suo percorso politico. Anzi: geopolitico.
Bossi ne è incuriosito e, cercando appoggi internazionali, chiede a Savoini, che nel frattempo è passato a La Padania, di intervistare diversi esponenti politici russi, come Vladimir Zhirinovsky, «grande avversario dell'allora presidente Boris Eltsin e successivamente sostenitore di Putin». È solo l'inizio. La Lega affascina i movimenti sovranisti internazionali, che cercano nuove alleanze. Savoini si muove alla luce del sole, coordinandosi sempre col suo segretario di partito. I rapporti con Mosca si fanno sempre più intensi, ma poi, con la rivoluzione di Maidan e lo scoppio del conflitto tra Ucraina e le repubbliche di Donetsk e Lugansk, qualcosa cambia. L'Occidente, in particolare l'Italia, che aveva sempre cercato di avere buoni rapporti con la Russia, si allontana da essa. Piovono le sanzioni contro Mosca, trovando sempre la Lega contraria. Racconta Savoini: «A metà gennaio 2014 ricevetti una telefonata da Gianmatteo Ferrari, militante leghista varesino di lunga data, esperto consulente informatico. (...) Anche lui guardava con favore i nostri programmi di tenere buoni rapporti con la Russia e si stupiva per come venisse trattata la vicenda ucraina su diversi media». Il 5 febbraio del 2014 nasce l'Associazione Lombardia Russia. Tramite essa, Savoini organizza diversi incontri in Italia, in particolare con Aleksandr Dugin, quello che in Occidente è considerato l'ideologo di Putin ma che, in realtà, è stato molto critico nei confronti del presidente russo. Savoini diventa così il punto di riferimento di coloro che, per i motivi più disparati, sono affascinati da Mosca e, soprattutto, accompagna Salvini nella «Terza Roma».
Il 18 ottobre 2018, avviene il celebre incontro tra Savoini, Gianluca Meranda, Francesco Vannucci e tre presunti intermediari russi. Si parla di un affare da 3 milioni di euro, poi lievitati a 64, ma mai trovati. Savoini viene registrato e, ancora oggi, non si sa né da chi né perché. O meglio, il leghista un'idea ce l'ha. Secondo lui si tratterebbe di una manovra, per mettere in crisi la Lega, da parte degli stessi poteri che avevano attaccato Trump in America. Del resto, da tempo, avvenivano fatti strani.
Come il furto del cellulare di Claudio D'Amico, suo compagno nelle trasferte russe, pedinamenti, telefonate misteriose ad amici e conoscenti ai quali vengono offerti anche diecimila dollari in cambio di informazioni su Savoini. È questa la storia del Russiagate italiano. Almeno secondo chi l'ha vissuta in prima persona.
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