La mamma stava atterrando all'aeroporto di Mombasa per starle vicino, per abbracciarla anche se simbolicamente attraverso i vetri della terapia intensiva, per far sentire ancora una volta alla figlia Michela tutto il suo amore, sperando di trovarla ancora in vita.
L'arrivo della donna era stato organizzato rapidamente dai funzionari dell'Ambasciata d'Italia e del Consolato onorario, che aveva seguito fin dall'inizio la vicenda in contatto con le autorità locali. Ma Michela Boldrini, la trentanovenne di Sarnico, centro del Sebino bergamasco meridionale, non ce l'ha fatta. È morta ieri mattina all'ospedale Aga Khan di Mombasa, dopo essere rimasta gravemente ustionata lo scorso 22 febbraio nel rogo del resort «Barracuda Inn» di Malindi.
La struttura, di proprietà di italiani, era stata raggiunta e avvolta dalle fiamme partite dalla cucina di un vicino ristorante, che hanno rapidamente distrutto coperture e strutture. Stessa sorte anche per un altro resort confinante. In tre erano finiti in ospedale.
Michela lavorava come segretaria nell'agenzia di assicurazioni Axa, sul lungolago di Sarnico e si trovava in vacanza in Kenya con il cugino Mattia Ghilardi, panettiere, anche lui valtellinese, rimasto ustionato nel rogo, ma già fuori pericolo. I viaggi erano infatti la loro passione, in Kenya lo avevano rimandato per due anni a causa del Covid e sarebbero dovuti ripartire il giorno dopo. Proprio per questo, istintivamente, i due invece di scappare velocemente dall'hotel, avevano provato a rientrare in camera per recuperare i documenti di viaggio e qualche effetto personale. Ma nel giro di trenta secondi le fiamme si erano fatte così vicine che entrambi erano stati avvolti da un calore tremendo, riportato ustioni gravi.
I medici dello Star Hospital di Malindi, che hanno fornito le prime cure a Michela, Mattia e ad un'altra turista ricoverata, di origini napoletane, hanno subito giudicato gravi le condizioni della trentanovenne, che però in prima battuta non sembrava fosse in pericolo di vita. Era poi stata trasportata a Mombasa e ricoverata nell'unità di terapia intensiva dell'Aga Khan. Nonostante le cure del caso, le condizioni della turista bergamasca si sono aggravate giorno dopo giorno.
Residenti e turisti italiani e di altre nazionalità presenti sulla costa kenyota si erano impegnati in una gara di solidarietà e avevano lanciato un appello nelle chat e sul gruppo Facebook «Italiani in Kenya» con una richiesta di donazioni di sangue, che aveva visto decine di persone presentarsi nella struttura ospedaliera, che dista circa 150 chilometri da Watamu.
Addirittura qualcuno aveva messo a disposizione un elicottero per trasportare i donatori di sangue. Ma due giorni fa la situazione è precipitata e la turista ha avuto un arresto cardiaco. L'inzio della fine.
L'ambasciata d'Italia in Kenya ha seguito fin da subito la triste vicenda, in contatto con le autorità locali, e ha fornito
assistenza ai familiari, che solo ieri mattina si sono arresi. Il consolato italiano comunicherà ora alla famiglia le tempistiche e le modalità di rimpatrio della salma. Poi nei prossimi giorni si conoscerà la data dei funerali.
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