Milano torna a Forza Italia che doppia la Lega e sfonda quota 20 per cento. Non così lontana da un Pd fermo al 28,9 e con il candidato del centrosinistra Beppe Sala che rispetto al Pisapia di cinque anni fa perde 100mila voti. Arenato sotto il 12 per cento il Carroccio di Salvini che era stimato oltre il 18.
«Come previsto si va al ballottaggio» ha detto ieri il renzianissimo segretario lombardo del Pd Alessandro Alfieri commentando il voto. Peccato che nei risultati, di previsto non ci sia stato proprio nulla. A cominciare dall'exploit dei berlusconiani che nessuno, nemmeno all'interno del partito, avrebbe stimato così alti. Per proseguire con il candidato del centrodestra Stefano Parisi che nemmeno i sondaggi più casalinghi avevano disegnato con il fiato sul collo dell'ex commissario Expo Giuseppe Sala che solo a Natale era da tutti considerato un vincitore a mani basse.
Tanto che anche il leader di un centrosinistra che anche poche ora fa si sentiva la vittoria già in tasca come il premier Matteo Renzi, arrivato a Milano per battezzare il suo pupillo alla vigilia delle urne, gliel'aveva un po' tirata dicendo che vincere per Sala a Milano sarebbe stato come «tirare un calcio di rigore». Gufata che lo stesso Sala non aveva del tutto gradito. E al termine dello spoglio si è capito perché, visto che il rigore è finito sul palo.
Soprattutto perché a mettere il tiro in porta è stata Fi e per di più con una delle esponenti dell'ala più lealista al presidente Berlusconi come la coordinatrice lombarda e vice capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini che con le sue 12mila preferenze è stata di gran lunga la più votata. Dispersi per distacco Matteo Salvini fermo a 8mila preferenze (erano state ben mille in più l'ultima volta) e con un Carroccio andato fuori strada. Ben al di sotto delle previsioni di tutti e a conferma che toni estremi e sparate forti raggiungono un tetto di consensi, ma poi non lo sfondano.
Non solo. Perché è evidente che un buon candidato come Parisi abbia trainato un centrodestra che, a differenza di altre città, si è presentato unito. Ma anche che il suo profilo moderato sia stato immediatamente accostato dai milanesi a Forza Italia, più che ad altri partiti maggiormente identitari come la Lega o i Fratelli d'Italia di Ignazio La Russa che a Milano sono usciti con le ossa piuttosto rotte. A dimostrazione che l'elettore milanese è sempre poco disposto a farsi prendere per la pancia o per altre parti del corpo, avendo ben chiari problemi epocali come l'immigrazione clandestina, il rapporto da tenere con la comunità islamica o la miglior ricetta per tassare i residenti, ma che è poi l'alchimia moderata di un manager accorto come Parisi a convincere. E a sbarrare la strada ai «grillini» che sotto la Madonnina hanno raccolto ben poco voto di protesta, fermandosi a un 10 per cento di militanti duri e puri.
Perché questa volta è sembrata prevalere una voglia di vecchia politica. Di partiti tradizionali e non di compagini civiche, visto che la stessa lista messa in piedi da Parisi si è fermata a un poco incoraggiante 3 per cento, nonostante la presenza di un ex sindaco ancora parecchio amato a Milano come Gabriele Albertini. Per non parlare di quella Pisapia colata a picco insieme a Daria Colombo, la moglie di Roberto Vecchioni, passionaria di sinistra e ispiratrice dei girotondi.
Segno che in cinque anni a Milano l'arancione non va più. E che, dati alla mano, di moda sembra esser tornato l'azzurro. Ora c'è da vedere se l'outfit politico del centrodestra di rito ambrosiano farà tendenza anche nel resto d'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.