«Il ritorno a casa di tutti gli americani detenuti illecitamente è una priorità del presidente». È il mantra che viene regolarmente ripetuto dall'amministrazione Biden ogni volta che si affronta l'argomento dei cittadini Usa che vengono arrestati con un pretesto e tenuti in ostaggio da qualche regime autoritario. Stavolta, nella vicenda del soldato di seconda classe Travis King, finito «volontariamente» nelle mani delle guardie di frontiera nordcoreane, tutto è politicamente più complicato e imbarazzante.
Non è un caso che la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, abbia rimodulato la formula: «Stiamo ancora raccogliendo elementi, ma l'amministrazione continua a lavorare attivamente per il suo ritorno in sicurezza». E se il militare non volesse tornare, le è stato chiesto. «Al momento non vogliamo fare ipotesi», la replica. Nel frattempo, Pyongyang continua a rimanere in silenzio. «Non c'è stata risposta» ai tentativi di contatto, ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller. Se la dinamica di quanto è accaduto è ormai abbastanza chiara, continuano ad emergere dettagli che potrebbero spiegare il «perché» il 23enne King, arruolatosi nel gennaio 2021, abbia saltato la linea di confine all'interno della Dmz, la Zona demilitarizzata che taglia in due la Penisola Coreana, per consegnarsi al regime di Kim Jong Un. Il militare stava per essere rimpatriato negli Usa, dove sarebbe stato sottoposto ad un provvedimento disciplinare e poi espulso dall'Esercito. Prima di sfuggire al controllo della polizia militare che lo aveva scortato all'aeroporto di Incheon (ha finto di avere perso il passaporto dopo avere superato i controlli di sicurezza), era stato in carcere due mesi per una rissa in una discoteca di Seul. Aveva perfino preso a calci un'auto della polizia e insultato gli agenti che tentavano di arrestarlo. Forse, quando King ha deciso di unirsi ad un gruppo di turisti che stavano partendo per il confine per visitare Panmunjom, unico punto di contatto fisico tra Nord e Sud lungo i 255 chilometri di campi minati che separano le due Coree, «dev'essere stato fuori di testa», come ha detto la madre, Claudine Gates, ai media Usa. Diverse guide turistiche sudcoreane interpellate dai media locali e Usa, hanno però spiegato che occorrono giorni per potere avere l'autorizzazione ad unirsi alle visite guidate della Dmz. Testimoni hanno inoltre riferito che King, mentre correva tra le braccia dei militari di Pyongyang, inseguito dai soldati sudcoreani che cercavano di fermarlo, rideva. Un gesto premeditato quindi?
A insistere sull'ipotesi del «crollo nervoso» è lo zio di King, Carl Gates, che ha raccontato di quanto il giovane fosse rimasto sconvolto dalla morte del cugino di 7 anni, all'inizio di quest'anno. «So che è legata al suo gesto», ha detto. Certo è che l'incidente coincide con un momento di massima tensione nei rapporti tra Nordcorea e Stati Uniti.
L'arrivo martedì nelle acque sudcoreane di un sottomarino nucleare Usa (la prima volta da 40 anni), nel quadro del nuovo patto di acciaio tra Washington e Seul in risposta alla minaccia atomica di Kim Jong Un, è stato salutato dai nordcoreani alla loro maniera: con il lancio di due missili a corto raggio, sparati nelle acque a est della Penisola.
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