Da nord a sud, da Bruxelles a Catania piovono su Palazzo Chigi pessime notizie, che alimentano il nervosismo del suo inquilino principale (alla pari con Rocco Casalino).
Da nord arriva lo slittamento dell'accordo sul Recovery Fund, che mette il governo nella condizione di non poter neppure chiudere la Nota di aggiornamento del bilancio (doveva essere varata nel Consiglio dei ministri di domani, ma difficilmente accadrà) e che alimenta il pressing, sempre più difficile da respingere, di coloro che chiedono di attivare il Mes. Da sud è piombata ieri, come un fulmine a ciel sereno, la richiesta del Gup di Catania di ascoltare la versione del premier e dei ministri del Conte 1, quello che appariva perfettamente in sintonia con la linea di guerra ai canotti dei migranti dettata dalla Lega. Il 20 novembre a Conte toccherà presentarsi in aula, in compagnia (non si sa quanto gradita) dell'ex ministro dei Trasporti Toninelli, e spiegare se e in che modo il governo non partecipò al sequestro di persona di cui è accusato Salvini. Un momento di sicuro imbarazzo, che respinge Conte verso un passato, quello dell'idillio col capo della Lega, che vorrebbe tanto dimenticare, e soprattutto far dimenticare.
A consolare il premier, al momento, c'è solo la seconda ondata del Covid: «Non gli sembra vero di potersi nuovamente infilare sotto la campana protettiva dell'emergenza: chi si sognerebbe di far saltare il governo mentre infuria la pestilenza?», è la perfida diagnosi, ovviamente anonima, di un dirigente dem. «Infatti non ha aspettato un attimo a prorogarsi i pieni poteri e non vede l'ora di oscurare il resto della scena politica con i suoi sermoni tv, tacitando ogni polemica in maggioranza». A cominciare dalla sfida del segretario Pd Zingaretti, irritato per la tattica del perenne rinvio di Conte, che lascia cadere nel vuoto tutti gli appelli al «rilancio» del governo, che è come «una bicicletta che resta in piedi solo se si pedala», e altrimenti cade. La risposta di Conte, sia pur per canali indiretti, non si è fatta attendere: attenti a minacciare cadute del governo, tanto più in fase di epidemia, o a spingere su scelte che possono spaccare la maggioranza, come il Mes. Il premier potrebbe scegliere di cavalcare la crisi, chiedendo lui elezioni anticipate e scendendo in campo con una sua lista, destinata a prosciugare sia il Pd e che M5s.
Zingaretti domani incasserà il premio di consolazione della modifica dei Decreti Sicurezza. Ma resta a bocca asciutta su tutte le altre condizioni poste dopo il voto: dalla legge elettorale al Mes. Il premier non si è neppure degnato di rispondere ai suoi appelli, e la legge elettorale è ostaggio dei veti incrociati di tutti i partiti e singoli parlamentari che non vogliono a nessun costo elezioni anticipate e che vedono come un grimaldello verso il voto l'approvazione di nuove regole.
Non a caso Zingaretti ha risposto all'ostruzionismo con una sfida: annunciare che la soglia del 5% «non è discutibile» è un modo per spaventare deputati e senatori delle piccole formazioni come Leu e Italia viva, e spingerli a lasciare i partitini per imbarcarsi sull'unica solida zattera di salvataggio, il Pd, rafforzandone utilmente i gruppi parlamentari. L'esodo, giurano al Nazareno, starebbe già iniziando.
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