"Mio fratello, agente ucciso da Battisti. Che almeno lui sconti tutta la pena"

Il poliziotto Andrea Campagna assassinato perché indagava sul caso Torregiani. "Sono solo dei vigliacchi, non ho perso tutte le speranze"

"Mio fratello, agente ucciso da Battisti. Che almeno lui sconti tutta la pena"

«Mio fratello Andrea l'hanno ammazzato perché il Tg2 l'ha inquadrato per cinque secondi. Indagava sull'omicidio del gioielliere Pier Luigi Torregiani». Andrea Campagna era un poliziotto della Digos, parlava con il futuro suocero, sotto casa della fidanzata a Milano. Aveva 24 anni, voleva sposarsi e avere figli, e invece... «L'ha ucciso Cesare Battisti il 19 aprile 1979, all'età di 24 anni», ci dice il fratello Maurizio, volto e memoria storica dell'Associazione vittime del Terrorismo, il cui Roberto Della Rocca ha in mente di chiedere un incontro a Giorgia Meloni perché intervenga sulla mancata estradizione dei 10 terroristi italiani in asilo in Francia. Voleva fare anche lui il poliziotto, glielo impedì la madre («Piuttosto ti ammazzo prima io», gli disse). Lo pizzichiamo al telefono mentre sta per entrare in Via Teulada 66 agli studi della Rai: «Quando è morto io andavo a scuola - ricorda - se non c'era sciopero... (sorride) D'altronde, dal 1969 al 1983 ci sono stati 500 morti e tremila feriti, un bollettino spietato. Se ti fai i conti sono un morto o un ferito al giorno, più o meno... Tu aprivi il Tg e pensavi: A chi hanno sparato oggi? Che strage c'è stata?. Una volta, ricordo bene, un manager venne ucciso in metropolitana davanti a donne e bambini».

Poi è toccato a suo fratello...

«Colpito alle spalle da Battisti, un farabutto vigliacco...».

Che però adesso è in galera

«Spero che ci resti fino a fine pena, come familiare mi conforta un po'. Ma provo ancora tanta rabbia per chi non avuto giustizia come me... Ma fino al 2019 Battisti ha fatto la bella vita, quella che è stata negata a mio fratello, che aveva dei sogni, voleva sposarsi e avere dei figli... La Dottrina Mitterand non andrebbe applicata per l'80% di loro, come ha detto il ministro Roberto Castelli al Giornale, no? Hanno massacrato delle persone, non hanno distrutto una macchina...».

È tutto finito? Avete perso le speranze?

«Quelle no, vedremo che cavolo si può fare...»

Ci racconta quegli anni, quei giorni?

«Che mio fratello facesse un lavoro pericoloso era tacito. Fosse morto in servizio, in uno scontro a fuoco. Per l'amor di Dio, ci poteva stare... È morto senza nessun motivo, colpito alle spalle da uno che quella mattina si era svegliato e aveva deciso, Torregiani e Sabbadin hanno sparato a un rapinatore? E noi ammazziamo un poliziotto, che ce ne frega».

C'era la lotta di classe, proletari contro borghesi...

«Ma che c... ne sapeva Battisti del proletariato? Mio padre era un proletario! Mio padre è venuto a Milano nel 1954, lasciando tutta la famiglia in Calabria. Finalmente dopo 10 anni l'ha portata su, lavorava lui con cinque persone a carico. Lui era un proletario, non questi farabutti che andavano in giro a uccidere le persone alle spalle».

Perché la sinistra flirta sempre con questi terroristi, come nel caso Cospito?

«Di questi argomenti non voglio parlare... Certo, c'è stata una sottovalutazione, troppi cattivi maestri che hanno influenzato quei ragazzi che oggi hanno sessantacinque, settant'anni. Ma io me lo ricordo il telegiornale, le leggi anti terrorismo, anche se simpatizzavi per un'organizzazione estremista, terrorista, ti beccavi dei giorni di carcere, se facevi parte di una banda armata ti beccavi 15 anni, no? Se io impugno un'arma dove sono gli ideali? Dove? Lo sapevano benissimo. Anzi, questi volevano sovvertire l'ordine, volevano comandare loro».

Secondo te ci sono margini per tornare a quegli anni o le condizioni della società sono cambiate?

«Io mi auguro di no. Certo, erno gli anni della contestazione. All'epoca ilmalcontento era davvero tanto, anche se c'era stato il boom economico. Le premesse che c'erano allora si intravedono anche adesso»

Cosa rimane di tuo fratello?

«Due medaglie d'oro, la sua figura di eroe, mio figlio che porta il suo nome (fa una pausa di silenzio, visibilmente commosso), la sua storia che raccontiamo. È l'unica cosa che mi fa stare bene. Devo lasciarti, ciao...».

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