«Il nome Noi con Vannacci non l'ho scelto io, non ho detto che fonderò un mio partito, è un'altra invenzione della stampa di sinistra. Ma io non escludo mai nulla, neanche che un domani potrei imparare a fare la torta con le mele». Sibillino come sempre, il generale Roberto Vannacci si presenta in jeans, camicia bianca e sneakers grigie con i suoi 55 anni portati bene, concedendosi ai giornalisti «sennò il telegiornale con che cosa apre». In platea l'entusiasmo è palpabile, in molte facce si riconoscono i tratti tipici di questurini, sbirri ed ex militari che hanno la divisa come seconda pelle, c'è chi esibisce il giubbino della Folgore e un orecchino a forma di croce. A chi insiste su una rottura con Matteo Salvini, che in mattinata giura di sentirlo «ogni giorno e più volte», lui replica piccato: «Io oggi sono nella Lega, chi si conglomera attorno a me condivide che io stia nella Lega. Il flop di questa manifestazione è un'altra invenzione». All'arrivo su un Suv bianco dribbla giornalisti e telecamere, poi al suo arrivo in una sala con almeno 500 persone deve cedere al plotone di esecuzione» dei giornalisti in cerchio, mentre lui quasi si compiace di tanta attenzione. D'altronde i 560mila voti presi e le 300mila copie del Mondo al contrario.
Le domande dei cronisti sono urticanti («Non mi interrompa, maleducato»), lui risponde con i soliti slogan sovranisti («È estremista dire che l'identità dei popoli va rispettata?») e un sorriso un po' forzato: «Il governo durerà, rosicate pure. La sospensione dal ruolo di vicepresidente del gruppo dei patrioti europei? Non sono il padrone del gruppo, a me non è ancora stato comunicato». Rivendica subito il voto a favore delle armi all'Ucraina («ma la guerra la ripudio perché l'ho fatta») e i suoi rapporti con l'estrema destra dell'Afd («Parlo con La7, figuriamoci se non parlo con chi ha il 30%»), critica le scelte di Ursula Von der Leyen («La commissione Ue mi lascia perplesso») sottolinea la sua contrarietà al Green deal e alla commissaria che va riscritto perché sta distruggendo un'Europa «mai così povera e insicura, basti guardare cosa è successo in Francia, Belgio e a Solingen»: «Paghiamo gli agricoltori per non produrre, vogliono i terreni incolti, vogliono farci tornare alle paludi», parlando del maltempo che ha fiaccato la vicina Emilia-Romagna e invocando «più argini, più ponti e più dighe», che i Verdi non vogliono «perché preferiscono che l'acqua sia rimontata dalle anguille e dalle lamprede», ma senza negare «il cambiamento climatico che è sempre esistito, anche a causa di «una componente antropica molto alta». Ma le misure messe in campo oggi «per quanto importanti avranno effetto tra 150 anni, quanto ci abbiamo messo per far crescere la temperatura di 1,3 gradi».
Il tema del conflitto tra Kiev e Mosca lo esalta: «La Russia ha le armi nucleari e i mezzi per trasportarle. Potrebbe utilizzarle? Cosa facciamo, aspettiamo l'incidente? Magari alla vigilia delle elezioni americane a novembre?».
Parole nette di fronte alla confusione di posizioni dentro ogni coalizione, in una fase di ricomposizione del quadro politico, Vannacci da incursore ora si sente argine e diga di fronte alle crepe dentro i partiti che si smontano e si rimontano come i mattoncini Lego.
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