Il mio Salento aspro di colori, profumi e sagre ridotto a set da reality dalla folla maleducata

Una fetta di Puglia trascurata dalle istituzioni, ma presa d'assalto a luglio e agosto. Ma il clima è amico tutto l'anno

Il mio Salento aspro di colori, profumi e sagre ridotto a set da reality dalla folla maleducata
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Salento. Sole, mare, vento. Ultima terra, prima del mare che porta altrove, fascino ahimè smarrito, là dove c'era l'ombra degli ulivi secolari oggi è cimitero di alberi grigiastri, soffocati dalla xylella, finiti, sfiniti, morti, sradicati. Una fetta di Puglia trascurata dal governo barese, l'autostrada fila diritta verso Taranto, i treni veloci si fermano nel capoluogo della regione, la ferrovia sud est è immagine ridicola, mangiatoia di gestioni delinquenziali. Il turismo vive lo spazio di due mesi, luglio e agosto, potrebbe esistere da marzo a novembre, il clima, la luminosità del cielo, la natura anche selvaggia verrebbero sfruttate altrove per tutto l'anno, qui ormai l'alba e il tramonto sono diventate occasioni per emulare Ibiza, è già passata la moda dell'happy hour o dell'apericena, equivoco enogastronomico di livello modesto, vince il mordi e fuggi, i fine settimana sono alveari impazziti di una folla volgare e maleducata, le sagre paesane hanno smarrito, fatte rare eccezioni Barbarano del Capo fra queste, il senso della tradizione trasformate in empori ambulanti di cineserie con fuochi d'artificio a chiudere. Le spiagge cosiddette esclusive, Punta della Suina su tutte, resa celebre da Mine Vaganti, magico film di Ferzan Ozpetek, sono lidi a prezzi da Saint Tropez e servizio da rave party, i ristoranti offrono menù xerox di Masterchef per prodotti locali non meglio identificati e a cifre da cinque stelle, il salentino ha una generosità prudente ed egoista, si considera depositario del miglior mare, del miglior pesce, della migliore verdura, del migliore santuario, del migliore faro la cui luce taglia il buio notturno dell'Adriatico e dello Ionio.

Venire in Salento è un viaggio vero, qui non si transita per caso, qui si arriva, a volte stremati dall'avventura che incomincia lontana, la Puglia è lunga quasi cinquecento chilometri, a scuola sugli atlanti stava scritto Le Puglie ed il Salento, per l'appunto, poco c'entra, per lingua, per clima, per cucina e storia, con il resto di questa regione antica, terra di conquiste mille. Per capire la difficoltà di chi ha scelto la vacanza in questa terra è opportuno ricordare che l'unico aeroporto «utile» è a Brindisi, centoventi chilometri da Leuca, controllate il prezzo dei biglietti aerei in questo periodo, più economico volare verso New York, la ferrovia è a binario unico, tempi di percorrenza da tradotta militare. Gli stabilimenti balneari hanno perso la ragione, sessanta euro per due lettini e un ombrellone, nel caso di un «privé» (termine obbrobrioso) aumento di euro 5 e poi parcheggio di 3 euro minimo, ovviamente non custodito, tratturi sterrati, rocciosi a rischio foratura. Siamo oltre, siamo over, manca una programmazione, manca un'idea, vince la speculazione sulla «frisa» o sullo spaghetto alle cozze, I Negroamaro e AlBano, Lecce Barocca, la pizzica e la taranta, il resto, dopo.

Eppure, nonostante tutto, resiste la magia delle acque trasparenti, calde, maldiviane, il profumo del finocchietto selvatico, il mistero dei frantoi ipogei, gli esplosivi tramonti purpurei, le notti di luna rossa e piena, la bizzarria dei venti che cambiano e aiutano a studiare la bussola, il canto delle cicale, i temporali improvvisi che abbagliano il mare scuro. Cartoline viventi che riesco a ritrovare quando la carovana estiva ritorna ai luoghi di origine. Non sapete che cosa vi state perdendo, inseguendo l'insalata al bar del centro, la serata ai Navigli, la fetta di anguria su marciapiedi intasati e l'odore dell'asfalto.

«Qui la notte è lunga e deserta senza voci, sembra densità, le case d'aspetto arabo se ne sono andate nel buio, l'erba è umida e rada sulla terra dura, arida, ha un sapore secco come la pelle di una vecchia, è piena di rughe e di durezze sofistiche come un pensionato, le erbe erano verdissime e spesse, mandavano odore di sale». Giovanni Arpino, Lettere a Rina, Lecce, agosto 1951.

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