La misoginia è di sinistra

Lo dicono le donne del Pd: la scena emblematica è andata in onda sabato con la Conferenza femminile del partito

La misoginia è di sinistra

C’è qualcosa di surreale nelle donne del Partito Democratico che in questi giorni - precisamente da quando non sono state elette - accusano lo stesso Pd di misoginia. Senza uscirne. E senza prenderselo. L’ultima in ordine di tempo è Paola De Micheli, in occasione di un'intervista in cui conferma la sua candidatura per sostituire Letta alla segreteria.

Ma De Micheli non se la prende con gli uomini, bensì con le donne che accusa perché "con un pò di accidia si sentono soddisfatte di un ruolo ancillare". Del resto è vero che volevano essere candidate in quanto donne, ma non sono state fatte fuori in quanto donne. Sono state fatte fuori vittime del gioco di correnti che le ha falcidiate.

Nel 2018, infatti, in percentuale le donne elette nel Pd erano più di oggi, ma all'epoca le liste le fece Renzi. E siccome Letta si è messo in testa di radere al suolo gli ex renziani, che pure erano rimasti nel Pd, ha tagliato tutte le donne. Non a caso tra le elette - blindatissime - risultano Camusso e Furlan, che hanno scavalcato le deputate uscenti.

O la stessa Cecilia d’Elia, iscritta al pd solo con Zingaretti segretario e, appena arrivata, da lui nominata responsabile della Conferenza interna delle donne. E poi da Letta scelta per il collegio di Roma alle suppletive dopo l’elezione di Gualtieri. Ma proprio come Letta, che dopo essere stato eletto nel collegio di Siena alle suppletive, si è poi blindato al plurinominale in Veneto, così la D’Elia è stata blindata nel listino. Una delle pochissime donne del Pd capolista. Per corrente.

Conta la corrente che vince

Lo ha detto anche il presidente del Pd, Valentina Cuppi: "Il nostro è un partito fortemente maschilista in cui per contare bisogna piegarci alle logiche delle correnti". Non è un caso che adesso la gara per i capigruppo sia tra Ascani e Madia alla Camera e tra Valente e Malpezzi al Senato.

Una donna vale l'altra; conta la corrente che vince. Perché come ha detto Letta in direzione “dobbiamo mettere due donne per mostrare di aver capito e di essere coerenti”. La coerenza da applicare per le già garantire che ce l’hanno già fatta, non per quelle che sono rimaste fuori. Perché poi alla fine è sempre un problema di coerenza, per le politiche di genere come per tutte le altre. Dai diritti civili, al lavoro, all’ambientalismo: il problema del Pd è lo iato tra i tweet a batteria, e le politiche portate avanti nel palazzo.

Sempre tornando alle donne, è emblematico quanto accaduto sabato. Convocata la Conferenza femminile del partito, con 60 iscritte collegate, in tre hanno chiesto le dimissioni di Celilia D’elia, messa lì da Zingaretti al primo giorno di iscrizione nel partito. Con un grande risultato ottenuto da quel posto per tutte le donne: quello di far eleggere solo sè stessa.

Ma Monica Cirinnà, anche lei critica per essere stata candidata “in un collegio non idoneo ai miei temi”, è corsa a smentire che il coordinamento delle democratiche avesse chiesto un passo indetro a Cecilia D'elia. Letta si deve dimettere per la sconfitta, lei no. E da lì un rincorrersi di comunicati e tweet di accuse e smentite tra donne.

Poi stamattina Valera Fedeli e Titti di Salvo hanno mandato una letterale alla Stampa offese dal titolo “Eva contro Eva”: "Ai maschi non lo avreste detto".

Ma i maschi nel Pd fanno i capicorrente, mica lo "gnegne".

Una ce n’è che farà il primo ministro. E non si farà chiamare “prima ministra”. Senza conferenza delle donne, senza quote, senza schwa, e, pensate un pò, senza neanche essere di sinistra.

E questo le sta facendo impazzire.

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