Una notte di paura e tensione altissima. Cinque ore di raid, un attacco senza precedenti. Più di 100 missili balistici, 30 missili da crociera e quasi 200 droni esplosivi lanciati contro Israele. Questa la risposta dell'Iran contro lo Stato ebraico per l'attentato all'ambasciata iraniana di Damasco dello scorso primo aprile in cui è stato ucciso il generale dei Pasdaran Mohammad Reza Zahedi. Un blitz annunciato e atteso, che Israele ha respinto abbattendo il 99% dei droni e dei missili lanciati, grazie ai poderosi sistema di difesa e al sostegno della contraerea e dei jet di Usa, Gran Bretagna, Francia e Giordania. Un'azione pesante ma forse più dimostrativa che realmente offensiva: Israele valuta come «relativamente piccoli» i danni causati, Teheran specifica che aveva avvisato gli Stati Uniti e gli alleati con 72 ore di anticipo che i suoi attacchi sarebbero arrivati e sarebbero stati limitati, sottolineando poi che per loro, se non ci saranno ritorsioni, finisce qui. È l'augurio del mondo intero che ha assistito col fiato sospeso a quanto accadeva sui cieli di Israele.
Una notte lunga e complicata ma non certo inaspettata. Per il regime degli Ayatollah è stato un atto di autodifesa in risposta «all'azione aggressiva del regime sionista contro l'ambasciata iraniana a Damasco esercitando il diritto innato di autodifesa sancito dall'articolo 5 della Carta delle Nazioni Unite». Aggiungendo poi che «la questione può considerarsi chiusa così ma se il regime israeliano dovesse commettere nuovamente un'aggressione militare la risposta dell'Iran sarà sicuramente più forte e più risoluta». Un avvertimento, per la necessità di far vedere i muscoli e dimostrare di non voler accettare passivamente l'attentato quindi, anche se il comandante dei Guardiani della Rivoluzione ammonisce: «Si è aperto un nuovo capitolo nel confronto tra Iran e Israele. L'Iran da ora in poi attaccherà qualsiasi luogo che verrà utilizzato da Israele per attaccare i nostri interessi».
«Li abbiamo intercettati, li abbiamo respinti, insieme vinceremo», ha commentato il premier israeliano Netanyahu. Il portavoce delle Forze armate israeliane Daniel Hagari, ha confermato che il 99% degli attacchi è stato respinto. Colpita solo la base aerea di Nevatim, nel Negev, la base degli F35 da cui sarebbe partito il blitz di Damasco. Oltre ai sistemi difensivi israeliani, importante è stato il contributo dei jet e dei radar e della contraerea degli Stati Uniti, della Francia, del Regno Unito e anche della Giordania. Solo gli Usa avrebbero intercettato più di 70 droni e almeno tre missili balistici, secondo fonti del Pentagono. Anche l'Arabia Saudita ha avuto un ruolo, con Riad che ha invitato alla moderazione. Il bilancio finale è di 31 persone rimaste ferite, la maggior parte delle quali mentre si stavano dirigendo verso i rifugi. Gravemente feriti invece un bambino di 10 e una bambina di 7, colpiti dalle schegge di droni iraniani distrutti nel Sud del Paese. In particolare la piccola, Amina al-Hassouni, è stata gravemente ferita alla testa ed è in pericolo di vita come comunicato dal Soroka Medical Center dove la bambina è ricoverata in terapia intensiva.
Cosa accadrà adesso, è tutto da stabilire. Da una parte l'Iran ha fatto vedere cosa può fare, pur limitandosi sia nella forma che nella sostanza. Dall'altra Israele, anche per le pressioni che arrivano dall'Occidente, Stati Uniti in primis, sta ancora valutando quando e come reagire, consapevole che un escalation non conviene a nessuno.
«Tutto il mondo ha visto cos'è l'Iran ma la prevenzione dell'attacco è stata impressionante e ha portato a impatti minimi. Siamo in guardia e pronti per ogni scenario», ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Una vittoria, che potrebbe non essere sufficiente ad abbassare il livello della tensione.
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