Se la Moldavia fosse un Paese normale, saremmo a raccontare di un braccio di ferro all'ultimo voto deciso da una manciata di schede elettorali dopo un conteggio al cardiopalmo, magari con qualche fisiologica contestazione. Invece, nella tarda serata di ieri, le primissime notizie di un minimo vantaggio nel ballottaggio con l'europeista uscente Maia Sandu del candidato filorusso alla presidenza Alexandr Stoianoglo già scatenavano ipotesi di un mini-terremoto geopolitico. Poi dati più completi hanno invertito la tendenza, stabilizzando la Sandu intorno al 51,5%, ma in attesa delle schede dei tantissimi moldavi all'estero che già al primo turno avevano dato la vittoria agli europeisti. Stamattina il quadro potrebbe essere delineato.
Ricordavamo però che la piccola ex Repubblica sovietica incastrata tra Ucraina e Romania è un Paese lontano dalla normalità democratica: con la Georgia, la Bielorussia e la stessa Ucraina condivide un destino segnato dalle mire imperiali russe, riattizzate da Vladimir Putin che non ha mai nascosto di considerare la fine dell'URSS la peggiore disgrazia storica del ventesimo secolo. Ed ecco dunque che le libere scelte dei popoli di Paesi indipendenti da più di trent'anni ma in precedenza soggette alla sovranità di Mosca perdono, agli occhi del satrapo del Cremlino, qualsiasi valore di fronte alla sua volontà di riassoggettarli.
Alla vigilia del voto la presidente uscente europeista aveva ampiamente denunciato interferenze russe a suon di mazzette («I ladri vogliono comprare i nostri voti») e pressioni sugli elettori moldavi residenti in Russia perché votassero il candidato di Putin.
È stato riferito di telefonate anonime con minacce di morte a elettori che si erano esposti contro la prospettiva di un ritorno della Moldavia nell'orbita russa. Si è addirittura raccontato, pare con fondamento, di camionate letteralmente di elettori moldavi trasportati dalla Russia in patria per poter votare «bene». Di voli dalla Russia su cui sono stati caricati altri elettori verso Bielorussia, Azerbaigian e Turchia per poter votare «bene» (e naturalmente «in modo spontaneo») nelle ambasciate e nei consolati di Chisinau in quei Paesi.
Nessuna meraviglia. Il destino della Georgia e della Moldavia è nello stesso mirino di quello della Bielorussia e dell'Ucraina, dove Mosca impiega la forza. Anche qui, Putin pretende di tornare da padrone, ma si ritrova nella condizione di poter interferire nei processi elettorali: una forma di guerra ibrida.
In Georgia ha nel leader del partito populista al governo «Sogno Georgiano», Bidzina Ivanishvili, che ha virato progressivamente verso Mosca, il cavallo di Troia per far tornare il Paese caucasico nella sua orbita: e dal palazzo del governo è relativamente facile avviare un percorso che al Cremlino vogliono irreversibile. In Moldavia, la partita è più complessa: qui l'arma prescelta da Putin per interrompere il cammino verso l'Europa è la bieca corruzione.
Lo scorso 20 ottobre si erano tenute due consultazioni decisive: un referendum per confermare la scelta europeista della Moldavia e le elezioni presidenziali.
Il primo era stato vinto per un soffio, il secondo ha visto in vantaggio la presidente uscente Sandu sul filorusso Stoianoglo, ma non abbastanza per evitare il turno di ballottaggio che si è tenuto ieri. Come e più che in Georgia, gli osservatori internazionali del voto avevano certificato interferenze russe di ogni genere. Ieri è stato anche peggio e la Sandu ha denunciato abusi «senza precedenti».
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