Quello che è accaduto (e accadrà) in Spagna scuote dalle fondamenta due pilastri del sistema su cui si basa la nostra vita civile. La Spagna difende, legittimamente e doverosamente, la Costituzione democratica, ovvero la legge fondamentale per tutti i cittadini che vivono in quello stato; la Catalogna rivendica quel diritto di voto che è alla base della democrazia: e ha ragione, perché se quella Costituzione andava bene ai catalani decenni fa, ora hanno tutto il diritto di cambiare idea. Da questo conflitto etico, prima che politico, giuridico, economico nasceranno conseguenze drammatiche per il futuro non soltanto della Spagna, quale che sia la soluzione cui si arriverà.
In tutto ciò giocherà un ruolo rilevante una delle ultime monarchie regnanti in Europa. Felipe VI non ha poteri effettivi, perché tutti i suoi atti devono essere controfirmati dal primo ministro, ma rappresenta l'unità del Paese, come i suoi pari in Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Belgio e staterelli vari. Furono le monarchie a formare gli stati nazionali, quasi sempre battendo i rivali con la forza, e quasi sempre usando la stessa forza per tenere uniti i popoli che avevano accomunato o sottomesso. Non a caso la Catalogna prevedeva, nel suo referendum semiabortito, il passaggio dalla monarchia alla repubblica, ovvero il segno più radicale del cambiamento.
Accadde lo stesso in Italia, quando si votò legittimamente per scegliere fra le due forme istituzionali, nel '46. Come sappiamo vinse, per poco, la repubblica. Ma, per capire la situazione spagnola, proviamo a immaginare che i Savoia siano ancora sul trono, al Quirinale; e che anche in Italia ci sia un tentativo di secessione, Nord e Sud divisi. I Savoia unificarono l'Italia con le guerre, e l'annessione del Regno delle Due Sicilie fu la peggiore, perché si trasformò in una guerra civile. Di quella guerra si era voluto, per amore e per forza, perdere la memoria, tanto che al referendum le regioni meridionali votarono in prevalenza per il re. Oggi però, dopo i recenti studi sul cosiddetto brigantaggio, quella memoria è tornata, rinfocolando rancori secolari contro i «piemontesi» occupanti, e difficilmente il Meridione sceglierebbe la monarchia. Cosa farebbero, allora i Savoia? Una nuova spedizione dei Mille, dove mille sarebbero però aerei da caccia e bombardieri?
No, probabilmente si appellerebbero a quella supermonarchia che è l'Ue, come faranno sia Rajoy sia Puigdemont. Già, e l'Ue cosa farà? Se da un lato deve evitare terremoti, in questa fase così critica della sua breve storia, dall'altro ha interesse che nel suo ambito ci siano non stati nazionali grandi e forti, ma piccoli stati bisognosi di una Grande Madre, della supermonarchia europea. Lo spiegava inascoltata, vent'anni fa, Ida Magli proprio su queste pagine.
Uno studio, semplice ma credibile, pubblicato da Focus pochi giorni fa mostrava come sarebbe l'Europa se in ogni stato vincessero i separatisti: un mosaico di ben oltre il doppio degli stati esistenti. I due che rimarrebbero immutati sono Grecia, repubblica, e Danimarca, monarchia, soltanto per la mancanza di diverse etnie o di traumi storici che abbiano diviso la popolazione. La regina Margherita II di Danimarca può dunque stare tranquilla.
Non così gli altri monarchi d'Europa: la corona che hanno sul capo, una volta simbolo di unità, per molti popoli è tornata a essere un simbolo di oppressione. Un simbolo innocuo, ma da abbattere proprio in quanto simbolo.@GBGuerri
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.