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Monti "esodato" dal premierato

La delusione del Professore: "Con la riforma impossibili governi d'emergenza nazionale"

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Lo sbaglio lo riconosce quasi subito. Aldo Cazzullo, che lo intervista per il Corriere della sera, parla di «pasticcio degli esodati». E Mario Monti, con grande onestà, va dritto al punto: «Quello fu un errore. Ma la riforma - aggiunge il senatore a vita - fu varata in pochi giorni, in un clima drammatico, con lo spread a livelli mai raggiunti né prima né dopo». Poi l'ex presidente del consiglio che prese il posto del Cavaliere in un momento difficilissimo allunga una stoccata al leader della Lega: «Non a caso una soluzione fu trovata, e a dispetto dei proclami di Salvini e di altri la riforma Fornero è ancora lì».

Monti ha appena scritto un libro dal titolo difficile, Demagonia, in uscita per Solferino il prossimo 7 maggio, e insomma si è inventato una parola - prendendosi pure la briga di controllare su Google e su ChatGpt che non esistesse - un termine che in qualche modo mette insieme la demagogia e il populismo. Del resto, lui si è sempre proclamato un nemico dei populismi e semmai si considera un tecnico prestato alla politica, il professore da sempre di casa alla Bocconi, anche se a suo tempo ha fondato un partito, Scelta civica, che è stato inghiottito rapidamente dai marosi della politica e di cui pure dice di non essersi pentito.

E però il punto più sorprendente del colloquio è quello in cui, fra le righe affiora la nostalgia per una stagione, quella dei tecnici, di cui è stato grande protagonista insieme a Draghi che, fra l'altro, racconta di aver trattato laicamente. Insomma, da pari a pari, senza complessi di inferiorità, che peraltro non si addicono a nessuno dei due, e nemmeno con l'ipocrita venerazione che molti gli hanno tributato.

Dunque, Monti scatta quando Cazzullo gli domanda del premierato e la risposta è netta: «Sono contrario soprattutto perché ci priverebbe della possibilità di far nascere, in casi di emergenza, governi di unità nazionale. I governi nati con la fiducia più ampia del parlamento - prosegue il senatore - oltre l'80 per cento, furono quelli di Andreotti al tempo del terrorismo, il mio nell'emergenza finanziaria e quello di Draghi al tempo del Covid».

Esecutivi guidati, il più delle volte, da personalità pescate fuori dal solito recinto, le cosiddette riserve della repubblica. Si è spesso polemizzato, da parte del centrodestra, perché questi esecutivi nascevano da manovre di Palazzo, lontano dal voto e dai desiderata del popolo, ma certo Monti viene afferrato dal demone del passato perché un'ascesa come la sua, prima senatore a vita e poi subito dopo presidente del consiglio, non sarebbe più possibile.

Anche Monti finisce dunque fra gli esodati, gli esodati dalla politica.

Si vedrà come andrà a finire la riforma che per la premier Giorgia Meloni è il punto forse più importante della sua azione, ma un certo mondo viene consegnato alla storia ed esce dalla cronaca.

Ala fine, al di là del suo esperimento non andato a buon fine, Monti resta un professore di economia. E racconta come nel segno del suo rigore intransigente respinse quella che probabilmente gli parve essere una tentazione: l'offerta da parte del Cavaliere di prendere il comando del centrodestra. «Nell'ottobre 2012 mi propose di guidare il centrodestra alle elezioni».

Ma la suggestione, spiega lui, fu rimandata al mittente. «Lei che cosa rispose?» è la domanda. «Che apprezzavo la proposta e probabilmente avremmo vinto. Ma che fino a quando Berlusconi fosse stato in vita, nessuno avrebbe potuto guidare il centrodestra al di fuori di lui».

Così Monti si sfilò, se dobbiamo credere alla sua ricostruzione, da un ruolo che avrebbe cambiato la storia politica dell'Italia. E oggi rivendica quella distanza dal modello berlusconiano: «Non abbiamo avuto né il liberismo né il rigore».

Anche se fra i due ci fu sempre un buon rapporto.

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