Niente da fare: non bastano le perizie, le testimonianze, nemmeno le statistiche che raccontano come nei mesi più tragici della pandemia alla «Baggina» si morisse come in tutti gli ospizi. E nemmeno il fatto che la stessa Procura di Milano, la cui severità non può essere messa in discussione, alla fine delle indagini avesse chiesto l'archiviazione delle pesanti accuse mosse al glorioso istituto milanese, il Pio Albergo Trivulzio. Ieri il giudice delle indagini preliminari Alessandra Cecchelli, dopo due mesi di riflessione, respinge la richiesta. La «Baggina» e il suo presidente restano sotto accusa, serviranno nuove indagini e nuove perizie.
È una decisione che arriva inattesa, e che costringe a tornare indietro con la memoria ai mesi terribili della primavera 2020, quando di fronte all'avanzata del virus gli scienziati si accapigliavano tra mille spiegazioni e mille rimedi, e la caccia a mascherine e camici aveva assunto toni parossistici. Il bilancio del Trivulzio, dove erano stati fatti confluire anche malati provenienti da altre Rsa, fu assai pesante: 103 morti di Covid tra marzo e aprile. Ma su quei morti venne aperta da frange sindacali interne all'istituto una battaglia frontale con i vertici, accusati di avere minimizzato la portata del virus. E anche un medico del Trivulzio, Luigi Bergamaschini, denunciò che i suoi allarmi erano rimasti inascoltati.
La Procura, dopo una lunga indagine, nell'ottobre scorso aveva chiesto di archiviare l'indagine a carico dell'ex direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio, e dell'istituto stesso: c'era stata, scrissero i pm, una «sottovalutazione» iniziale: ma non si può dimenticare che «tracciamento e contenimento» del virus, che era sconosciuto, non erano stati ancora nemmeno «adeguatamente introdotti, sviluppati e articolati dalle disposizioni delle autorità sanitarie nazionali e regionali».
I parenti di una parte dei deceduti si erano opposti. E ieri il giudice Cecchelli accoglie le loro tesi. Il provvedimento ammette che al personale venivano fornite istruzioni, ma dice che nessuno controllava che venissero lette; parla di casi «gestiti con modalità discutibili», e di «omissioni e colpose negligenze della dirigenza sanitaria che si rivelano in tutta la loro gravità anche nel periodo successivo», e di «un numero evidentemente spropositato di decessi». «Tali fatti - aggiunge il giudice - si verificavano allorquando il fenomeno pandemico e le più elementari misure da adottare erano già ampiamente note». Per approfondire il «nesso causale» tra queste carenze e i decessi, il giudice dà sei mesi di tempo ai pm per effettuare una nuova perizia.
Il difensore di Calicchio, Vinicio Nardo, si mostra sereno: «Tale indicazione consentirà di escludere qualsiasi zona d'ombra su una vicenda che ha avuto un enorme risalto mediatico ed è stata al centro di polemiche anche di tipo politico».
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