Ventitrè anni dopo. E già questo rende parecchio difficile considerare giustizia la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia a risarcire con 30mila euro madre, compagna e figlia di un morto per overdose nella questura di Milano. Una vicenda infinita nella quale le vicende giudiziarie si sono intrecciate fino a questo ultimo discutibile parto che si propone di sanzionare il non aver preso sufficienti precauzioni per ridurre il rischio di decesso per overdose. Cosa che detta così sembrerebbe poter avere un qualche senso, se non fosse che a smentirlo ci sono le precedenti sentenze emesse dai tribunali e dalla Cassazione italiani e non un ufo atterrato a Strasburgo. E che da lì pretende di punire il nostro Paese sostenendo che i poliziotti che avevano arrestato l'uomo perché sospettato di reati legati al traffico di droga, non si erano premurati di mettere in atto sufficienti accorgimenti per ridurre il rischio di una sua morte per overdose mentre era sotto la loro custodia in questura. E così l'Italia è stata chiamata a risarcire per «danni morali» madre, compagna e figlia che avevano fatto ricorso alla Corte il 23 dicembre del 2011.
Il fatto è che dopo la notte del 10 maggio 2001 quando dopo poche ore in via Fatebenefratelli l'uomo venne dichiarato morto, il pubblico ministero aprì un'indagine preliminare sul decesso e il 3 aprile del 2003 stabilì che dalle prove raccolte non era emerso alcun elemento per poter collegare la morte dell'uomo a eventi esterni commessi da terzi e che non era ipotizzabile un atto criminale. Nonostante questo madre, compagna e figlia presentarono una richiesta per l'ottenimento del risarcimento danni contro il ministero dell'Interno per omissione di soccorso e omessa sorveglianza. Il tribunale di primo grado sentenziò che il ministero dell'Interno era responsabile della morte dell'uomo e riconobbe 100mila euro di danni alla madre e 125mila alla figlia. Ma il Viminale fece appello e lo vinse, così come vinse il ricorso alla Corte di Cassazione.
Non abbastanza per la Corte di Strasburgo che ora ha deciso che «il governo non ha dimostrato in modo convincente di aver offerto alla vittima una protezione sufficiente e ragionevole della sua vita» pur essendo al corrente delle sue condizioni e dei rischi connessi.
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