Mosca rompe con gli Usa La diplomazia sul baratro

Dopo l'accusa di Biden a Putin: "Criminale di guerra". Ieri convocato per protesta l'ambasciatore Sullivan

Mosca rompe con gli Usa La diplomazia sul baratro

Ormai siamo a un passo dalle tenebre. Anche perché l'ipotesi di una spaccatura talmente netta non si era mai presentata. Neppure nei momenti più tesi e drammatici della Guerra Fredda Mosca e Washington avevano pensato di rompere le relazioni diplomatiche. Le ambasciate degli Stati Uniti a Mosca e dell'Unione Sovietica a Washington - seppur ridotte a fortini assediati dove l'attività diplomatica si mescolava a quella spionistica - mai avevano minacciato di chiudere i battenti. Anche perché rappresentavano l'ultimo caposaldo da cui ricucire «in extremis» eventuali errori capaci di portare allo scontro nucleare. Ora, invece, sembra sul punto di cadere anche l'ultimo «Santo Graal» della deterrenza mondiale. Ad annunciarlo è il ministero degli Affari Esteri di Mosca, poche ore dopo la convocazione dell'ambasciatore statunitense John Sullivan. Una convocazione durante la quale viene ufficialmente comunicato che le relazioni con Washington sono «al punto di rottura». Un punto, superato il quale, verrebbero a mancare molti strumenti indispensabili a prevenire uno scontro sul campo.

Ma come, e soprattutto perché, siamo arrivati sull'orlo di una rottura così drammaticamente inedita? Per capirlo bisogna leggere le motivazioni della convocazione di Sullivan, ovvero la protesta ufficiale per le dichiarazione del 16 marzo scorso quando Joe Biden definì il presidente russo un «criminale di guerra». Parole confermate, 24 ore dopo, dal segretario di stato Anthony Blinken. «Colpire intenzionalmente i civili - aggiunse Blinken - è un crimine di guerra... e trovo difficile concludere che i russi stiano facendo diversamente». In quelle dichiarazioni Mosca legge una conflittualità molto più insidiosa e pericolosa di quella che contrapponeva Cremlino e Casa Bianca durante la Guerra Fredda. Nonostante le crisi dei missili di Cuba, il Vietnam e l'invasione dell'Afghanistan né l'America, né l'Unione Sovietica misero mai in dubbio la legittimità del regime che governava la super-potenza nemica. Le parole di Blinken e di Biden, già «colpevole» di aver definito Putin un «assassino», vanno, invece, nella lettura di Mosca, molto aldilà di quello schema gettando le basi per un cambio di regime seguito, o preceduto, da una condanna di Putin per crimini di guerra davanti alla Corte Internazionale dell'Aia. Uno scenario molto simile, insomma, a quello che portò alla caduta di Slobodan Milosevic dopo la guerra del Kosovo.

Gelida la replica di Blinken da Washington. Secondo il portavoce del dipartimento di Stato americano, Ned Price, l'ambasciatore Sullivan «ha chiesto a Mosca di seguire la legge e le convenzioni internazionali e poter avere subito accesso consolare a tutti gli americani detenuti in Russia. Quello che Mosca abbia detto al nostro ambasciatore bisogna chiederlo al Cremlino», ha detto il portavoce definendo «incredibile» sentir parlare di «commenti inaccettabili da parte di un Paese che sta perpetrando violenze atroci sui civili».

I sospetti di Mosca appaiono tutt'altro che infondati. L'apertura di un'indagine sugli eventuali crimini di guerra commessi in Ucraina è stata già annunciata, il 3 marzo scorso, dal procuratore della Corte penale internazionale, il britannico Karim Khan, dopo il via libera concesso da 39 Paesi membri della stessa Corte. E ad amplificare i sospetti di Mosca s'è aggiunta la trasferta di Karim Khan a Kiev arrivata - guarda caso - proprio all'indomani delle dichiarazioni di Biden. Una trasferta durante la quale il procuratore ha sottolineato la volontà di procedere contro i vertici russi. «Non c'è immunità per nessuno - ha detto il procuratore - vale per un soldato che uccide, terrorizza o stupra civili, vale per un comandante che ordina bombardamenti, vale per i suoi superiori civili». Una dichiarazione in cui Mosca ha letto una chiara allusione alla volontà d'incriminare lo stesso Vladimir Putin.

Ovviamente l'ennesima crepa nei rapporti con gli Stati Uniti si riflette anche sui negoziati in corso per un possibile cessate il fuoco. Nonostante le mediazioni del premier israeliano Naftali Bennett e del ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu anche ieri i colloqui tra i negoziatori ucraini e quelli russi non hanno dato risultati concreti.

Alexander Rodnyansky, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha scaricato tutte le colpe su Mosca accusandola di non aver alcuna voglia di negoziare seriamente e puntare soltanto a «distogliere l'attenzione da ciò che accade sul campo di battaglia». Il Cremlino, da parte sua conferma di non prendere neppure in considerazione, per ora, l'ipotesi di un cessate-il-fuoco.

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