«Benzina sul fuoco». Mosca bolla come incendiaria la decisione di Joe Biden di dare all'Ucraina via libera all'uso dei missili Atacms in territorio russo (capaci di colpire oltre 300 km) e mette ancora in dubbio la scelta, anticipata dai media ma non ancora confermata (né smentita) dalla Casa Bianca, quasi a sperare che non sia vera o possa essere oggetto di un ripensamento. «Se il permesso fosse veramente concesso dagli Usa, questo segnerebbe un nuovo aumento delle tensioni tra Mosca e l'Occidente», commenta il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Attacchi con i missili a lungo raggio «porteranno a una grande escalation che minaccia di avere conseguenze molto più gravi», insiste il presidente della Commissione esteri della Duma, Leonid Slutsky, promettendo che «la Russia risponderà nel modo più deciso».
Kiev potrà colpire solamente la regione russa di Kursk presa di mira da inizio agosto dall'esercito ucraino, fa sapere il ben informato sito giornalistico americano Axios, riferendo le condizioni poste dall'amministrazione Biden. Ma tanto basta per far esplodere tra i nemici del presidente americano l'accusa di voler scatenare la Terza Guerra mondiale. È questa la tesi non solo del nord-coreano Kim Jong-un, l'altro leader contro il quale Washington ha voluto dare un segnale forte, dopo l'invio da parte di Pyongyang di circa 12mila soldati nord-coreani di supporto alle truppe russe proprio nel Kursk. Anche Donald Trump junior, il figlio del prossimo presidente che sempre più spesso dà voce alla sua linea estrema, si scatena sostenendo che «il complesso militare-industriale sembra voler assicurarsi di far scoppiare la Terza guerra mondiale prima che mio padre abbia la possibilità di creare la pace e salvare vite».
In realtà, Biden intende esercitare fino alla fine le sue prerogative di presidente e impedire che il conflitto metta Kiev spalle al muro, anche in vista di eventuali negoziati. Una linea condivisa da quasi tutte le cancellerie europee, Ungheria esclusa. Gran Bretagna e Francia sarebbero pronte anche loro a dare il via libera all'uso dei propri missili contro la Russia. La Germania ha iniziato a consegnare all'Ucraina 4mila dei cosiddetti «droni kamikaze», armi da combattimento controllate dall'intelligenza artificiale e in grado di aggirare la difesa elettronica nemica, ma resta ferma sul no ai missili a lungo raggio Taurus. Anche Josep Borrell, «ministro degli esteri» Ue, spera che arrivi un via libera dell'Unione, che la prossima primavera invierà a Kiev 1,9 miliardi provenienti dagli extraprofitti degli asset russi immobilizzati in Europa. «Altrimenti ognuno farà quello che crede utile per sostenere l'Ucraina», spiega Borrell, consapevole che il governo di Budapest, il più vicino a Mosca, ha definito «un pericoloso errore» la decisione. «Il mainstream del partito pro-guerra a Washington e Bruxelles ha lanciato un attacco finale e amaro contro la nuova realtà», tuona il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto.
Dal G20 in Brasile, Joe Biden ripete allo stremo il suo mantra di fronte alle divisioni: «Gli Stati Uniti sostengono con forza la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina. È mia opinione che tutti quelli che sono a questo tavolo debbano farlo lo stesso». Eppure, al summit di Rio, l'Ucraina divide come il Medioriente. Se il Brasile del presidente Lula tende ancora una volta la mano a Putin, impegnato a evitare la «condanna esplicita» di una delle parti in conflitto, l'Argentina al contrario si dice pronta a non firmare la dichiarazione finale del G20 se violerà la sua posizione sui due conflitti in corso, oltre che sullo sviluppo.
A riproporsi come mediatore per la pace, tirando acqua al mulino di Mosca, si aggiunge il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, che secondo l'agenzia Bloomberg al G20 presenterà un piano di pace per l'Ucraina.
La proposta prevede il congelamento della situazione militare attuale, l'impegno dell'Ucraina a non entrare nella Nato per almeno dieci anni, il rifornimento di armi a Kiev per la difesa e il dispiegamento di caschi blu in una zona cuscinetto demilitarizzata nel Donbass.
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