Per placare la rabbia d'Oltralpe, ecco l'annuncio choc del presidente francese: rinuncio alla pensione da capo dello Stato «per dare il buon esempio». È il primo della storia, Emmanuel Macron, a rompere col tradizionale vitalizio presidenziale, datato quanto i privilegi concessi finora alle categorie protette dei lavoratori: dal 5 dicembre i sindacati tengono in scacco il Paese, colpendo il trasporto pubblico; scuole e ambulatori ospedalieri, tribunali e aeroporti. Secondo la legge del 1955, gli ex inquilini dell'Eliseo hanno invece diritto a vita (dal fine mandato) a 6.220 euro lordi al mese (circa 5.200 netti) per l'incarico svolto, oltre a un seggio certo nel consiglio costituzionale.
Macron rinuncia a entrambi gli introiti e annuncia di voler riformare anche questo sistema (non solo quello pensionistico dei cittadini) applicando a se stesso il nascituro calcolo a punti. L'ex enfant prodige della politica transalpina terminerà il Quinquennato nel 2022 e potrebbe percepire l'assegno già a 44 anni; in caso di rielezione, a 49. Quanto costerebbe mantenerlo a vita? Troppo, almeno politicamente nell'attuale geografia in tensione. Gli anti-Eliseo soffiano sulla protesta: l'estrema destra di Marine Le Pen e la gauche di Jean-Luc Mélenchon agitano le acque in vista delle comunali di marzo. Così, dalla Costa d'Avorio dove Macron si trova in missione, ecco l'annuncio: «Il presidente rinuncerà al suo assegno», confermano dall'Eliseo a Le Parisien. Un annuncio storico e inaspettato. Gioca d'anticipo, Macron. Ripulisce gli armadi presidenziali dagli scheletri dei privilegi, almeno da quelli che in un clima simile sarebbero percepiti come tali. Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Poco prima - parlando in conferenza stampa col presidente ivoriano Alassane Ouattara da Abidjan, dove Macron ha annunciato la fine del franco Cfa - aveva invitato gli oppositori della riforma «alla responsabilità», sperando che in Francia «trionfi l'intelligenza collettiva». «Scioperi giustificati e costituzionalmente protetti, ma credo che ci siano momenti nella vita di una nazione in cui è anche bello sapersi fermare».
Proseguono infatti i disagi legati a uno sciopero a oltranza che, fatta eccezione per qualche treno garantito ai possessori di biglietto, sta lasciando il Paese in preda ai capricci di un sindacato sfilacciato. È la Cgt la sigla più combattiva, riuscendo a rendere difficile la vita al governo. Giovedì, dopo aver discusso con le parti sociali, il premier Edouard Philippe ha ribadito di non voler rinunciare all'abolizione dei 42 regimi pensionistici speciali nonostante le tensioni. Un nuovo incontro «nei primi giorni di gennaio».
Per ora, il capo del governo ha ottenuto solo una nuova mobilitazione: una quarta grande manifestazione inter-professionale il 9 gennaio. Pare dunque strategico l'annuncio di Macron, al netto delle incognite. Se non scuote le coscienze di un sindacato saldamente ancorato alla difesa di privilegi del secolo scorso, forse può trascinare dalla sua quella parte di Francia che nonostante i disagi appoggia ancora i cortei.
Nel fine settimana ha circolato la metà dei Tgv, il 30% dei Ter, il 20% dei Transiliens e 1 su 4 treni regionali che collegano singole città.
La rinuncia al vitalizio da presidente è quindi un segnale forte a due France: quella fuori dal tempo orientata a respingere la riforma, inamovibile; e l'altra, che pur con la Rivoluzione nel cuore vede per la prima volta Macron scendere dall'Olimpo provando a vestirsi da cittadino comune. Stando al sondaggio Ifop, resta infatti un 51% di francesi pro-scioperi. Ma la percentuale è già scesa di 3 punti. E su questa Macron lavora per portare il 50+1% dalla sua. Poi, si vedrà.
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