«Volevo costruire l'azienda per cui mio padre non ha mai avuto la possibilità di lavorare». Così Howard Schultz ama descrivere lo spirito con cui per una vita si è dedicato a Starbucks, la compagnia di cui dal prossimo 26 giugno non sarà più presidente. Un'avventura durata trent'anni, da quando - era il 1987 - rilevò la catena di caffetterie. Allora contava 11 punti vendita, oggi più di 28mila in 77 Paesi del mondo, Cina compresa, per un totale di 350mila dipendenti.
«Togliermi il grembiule è più difficile del previsto, ma sapevo che non ci sarebbe mai stato un momento adatto a farlo», ha detto in un'intervista al New York Times. Eppure in tanti il momento lo vedono più che propizio. Giusto in tempo per preparare una candidatura, dalla parte dei Democratici, per le prossime elezioni presidenziali del 2020. Un'ipotesi che, dati il suo attivismo sul fronte dei diritti civili e le sue prese di posizione politiche, non sembra così irragionevole. Ed è stato lui stesso a confermarla, dopo tanto susseguirsi di pettegolezzi. «È da un po' che sono molto preoccupato per il nostro Paese, per le crescenti divisioni al suo interno e la posizione sulla scena internazionale - ha detto il quasi ex presidente di Starbucks - In questa seconda fase della mia vita voglio capire se c'è un ruolo che posso assumere per restituire quello che ho ricevuto. Valuterò una serie di opzioni, che potrebbero includere anche un incarico pubblico. Ma sono ancora lontano dal prendere decisioni».
Howard Schultz, classe 1953, nato a Brooklyn, New York, ha dedicato la sua carriera al sogno di costruire un'azienda consapevole del suo impatto sociale, che realizzasse quello che lui definisce «il fragile equilibrio tra profitto e coscienza». Il che si è tradotto in assicurazione sanitaria a tutti i dipendenti e ai loro partner, possibilità per gli impiegati part-time di acquistare azioni dell'azienda, contributi per le tasse universitarie agli studenti. Ma non solo: il manager si è sempre esposto pubblicamente a sostegno dei diritti degli omosessuali, dei veterani e dei senzatetto, e contro la proliferazione delle armi negli Usa, oltre a fare filantropia attraverso la fondazione di famiglia. Dal punto di vista politico, già nel 2016 si parlò di una sua candidatura con i Democratici, salvo poi sostenere la corsa di Hillary Clinton, destinata però a essere sconfitta da Donald Trump. Ed è proprio nel paragone con l'attuale numero uno della Casa Bianca che Schultz sembra a molti il candidato perfetto. O, meglio, perfettamente speculare a Trump. I due hanno avuto un paio di piccoli scontri a distanza negli ultimi anni: durante la campagna elettorale del 2016 l'allora candidato repubblicano ha accusato Starbucks di essere troppo politically correct, proponendo di boicottarla per la scelta di non vendere più tazze a tema natalizio. Il manager ha ricambiato l'anno scorso parlando di Trump come di un «presidente che provoca il caos ogni giorno».
Non resta che vedere se lo scontro, da telematico com'è stato finora, si sposterà sul terreno politico, nel senso tradizionale del termine. D'altronde è stato proprio Trump a sdoganare l'ascesa degli imprenditori allo Studio Ovale.
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