«Non esiste una legge che impedisca la candidatura di una salma, e comunque non l'ho mai promulgata. Se tra un anno dovessi morire, saranno le mie spoglie a guidare il paese». Nell'Africa delle contraddizioni la proclamazione del cadavere di un presidente desterebbe scalpore, ma fino a un certo punto. Del resto nel 1980 Robert Mugabe lasciò intendere durante i festeggiamenti per l'indipendenza che sarebbe stato presidente a vita, anche se per i primi sette anni condivise il potere con Canaan Banana, suo compagno di partito. Fino a oggi ha mantenuto la promessa, mettendo mano alla costituzione e al portafoglio per comprare voti. Ieri, nel giorno del suo 93esimo compleanno, il padre padrone dello Zimbabwe ha spiegato di non aver alcuna intenzione di gettare la spugna. Anzi, ha rilanciato la volontà di guidare per altri cinque anni il paese, avvalendosi della collaborazione di sua moglie Grace (di 42 anni più giovane di lui), in modo tale che tutto rimanga in famiglia. La first lady, l'ex segretaria che prese il posto nel 1997 della defunta prima moglie Sally Hayfron, è sempre più impegnata politicamente. Il marito due anni fa l'ha nominata coordinatrice dell'ala femminile del partito Zanu-Ff. I detrattori sostengono che l'incarico le sia stato affidato per evitare che continui a sperperare denaro in abiti, scarpe e gioielli sulla rotta Parigi-Milano.
Mugabe non teme l'età, soprattutto da quando nel 2011 ha sconfitto un tumore alla prostata. «Non bevo, non fumo e non vado a donne. Significa che sono immortale e che lo Zimbabwe ha più che mai bisogno di me», disse uscendo dalla clinica di Kuala Lumpur, in Malesia, e pochi giorni dopo ordinò a un fumettista di Harare di ritrarlo nelle vesti di supereroe. Nulla di nuovo sotto il sole cocente africano, altri dittatori, come Dada, Bokassa e Gnassingbe, avevano avuto, in periodi diversi della loro movimentata esistenza, la medesima strampalata idea.
Prima ancora di fare il verso ai protagonisti della Marvel, Mugabe è stato «il compagno Bob», il combattente che ha trasformato la Rhodesia dei bianchi ribelli nel all blacks Zimbabwe (letteralmente «casa di pietra»). L'ex studente dei gesuiti di strada ne ha percorsa parecchia: dagli anni dell'università in Sudafrica (nello stesso istituto dei leader neri Nelson Mandela a Desmond Tutu), fino al periodo in cui nel Ghana si guadagnava da vivere insegnando. Nel 1960 decise di entrare in politica per combattere il regime minoritario e razzista di quella che allora si chiamava Rhodesia. Nel 1964 venne arrestato, rimanendo per più di dieci anni in prigione senza mai accettare di negoziare, accumulando nel frattempo titoli universitari per corrispondenza presso la London University. Liberato nel 1974, fuggì in Mozambico e si dedicò anima e corpo alla lotta armata, con pochi mezzi e l'aiuto di Cina e Corea del Nord, innescando il braccio di ferro armato, con Ian Smith, il colono bianco che tradendo albione creò per 15 anni uno Stato indipendente a guida bianca, la Rhodesia.
Alla fine fu proprio Mugabe a spuntarla, alleandosi con gli inglesi. Furono anni di vacche grasse per il neonato Zimbabwe, considerato il granaio d'Africa per le enormi potenzialità agricole, e sottoposto al più imponente progetto di alfabetizzazione dell'Africa sub-sahariana. Mugabe appariva l'uomo agli antipodi rispetto al Sudafrica razzista, ma al tempo stesso perpetrò il genocidio della minoranza Ndebele, con l'aiuto della quinta brigata nordcoreana. Nel suo libro nero figurano persino massacri di mamme, arse vive con i bambini legati sulla schiena. Negli anni è diventato sempre più brutale, interrompendo i rapporti diplomatici con l'Inghilterra e abbracciando con maggior vigore la causa marxista.
L'altro ieri, nel corso dell'intervista concessa alla radio nazionale «Voa», è tornato alla carica: «l'opposizione non governerà mai questo paese, né mentre sono in vita, né dopo la mia morte. Giuro che il mio fantasma vi perseguiterà per sempre».
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