La Nadef 2023, come tutte le pubblicazioni di questo genere, non si limita a fotografare l'esistente e a definire l'andamento dei conti pubblici e le misure economiche da adottare in base allo scenario congiunturale più probabile. Nella Nadef, infatti, si aprono varie finestre che si interrogano su che cosa accadrebbe se la storia seguisse un altro corso rispetto a quello oggi maggiormente plausibile. Questo tipo di analisi, sostanzialmente, conduce alla conclusione che non si possa lasciare un Paese, seppur fortemente indebitato, e un'intera area economica in balia di un'austerity che potrebbe peggiorare ulteriormente un eventuale declino del Pil. La riforma del Patto di Stabilità dovrà tenerne conto.
È il caso, ad esempio, dei quattro scenari alternativi ipotizzati dalla Nadef connessi a un andamento più debole del commercio mondiale, a un maggiore apprezzamento dell'euro, a un prezzo più alto del petrolio e a un allargamento dello spread. L'impatto minore sul 2024, pari a -0,1 punti di Pil sullo scenario tendenziale 2024 (che fissa il Pil al +1%), si avrebbe nelle ipotesi di un andamento più debole del commercio mondiale e di uno spread più ampio del previsto. L'impatto maggiore, pari a -0,4 punti di Pil, si avrebbe col greggio al +20%, successivamente recuperati nel 2025 e nel 2026. Lo scenario che prevede un maggiore apprezzamento dell'euro nei confronti delle altre valute ridurrebbe il tasso di crescita del Pil di 0,3 punti percentuali nel 2024, 0,5 punti nel 2025 e 0,3 punti percentuali nel 2026. La minaccia dello spread, tuttavia, non è da sottovalutare, poiché le conseguenti contromisure (condizioni finanziarie più restrittive) dimezzerebbero praticamente la crescita nel 2025 e nel 2026 (-0,4 e -0,5 punti rispettivamente).
Trovare una sintesi sul Patto di Stabilità diventa così imprescindibile in quanto l'Italia condivide vincoli esterni (cambio e rigore di bilancio) con i partner ottenendo sostanzialmente vantaggi impercettibili. In ogni caso, la Nadef ha un impianto rigoroso sul fronte della spesa pubblica. Basti pensare che nel 2024 si prevede che, a legislazione vigente, le spese al netto degli interessi scendano al di sotto dei 1.000 miliardi di euro in virtù di un taglio dell'8% delle spese delle altre spese correnti (-7,9 miliardi) e del 63% dei contributi in conto capitale (-41 miliardi legati alla differente contabilizzazione del Superbonus). Per quanto siano numeri «anteriori» alla manovra, l'intento è quello di essere seri.
D'altronde, non è responsabilità del governo quella di trovarsi nel mezzo di una «tempesta demografica» che determina un peggioramento naturale del quadro di finanza pubblica. È il caso delle pensioni che, in virtù di Quota 100, nel 2022 è giunta al 17% del Pil per poi scendere ai giorni nostri al 16% circa, valore che resterà intatto anche nel 2024. Come ogni anno, la Nadef riporta anche l'outlook del Comitato politiche economiche dell'Ue sull'invecchiamento della popolazione: a fronte di un tasso di crescita del Pil reale pari all'1,05% medio annuo, il totale della spesa pubblica connessa all'età in rapporto al Pil registra un incremento di circa 1,9 punti percentuali nel periodo dal 2019 al 2040.
Escludendo la scuola il cui peso è destinato a diminuire per il decremento della natalità, nei prossimi 16 anni il combinato di pensioni, sanità e cure di lungo termine «mangerà» un quarto del Pil in termini di spesa pubblica «obbligatoria». Ben vengano, dunque, le politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie, ma quello che serve è anche un'Europa che aiuti l'Italia a non avvitarsi nell'ennesima crisi determinata da fattori esogeni.
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