Nadef, crescita all'1,2%. C'è la riforma dell'Irpef

Meloni: "Margini ristretti ma sosterremo i redditi". Giorgetti: "Stime ragionevoli, l'Europa comprenderà"

Nadef, crescita all'1,2%. C'è la riforma dell'Irpef
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Una crescita inferiore rispetto a quanto previsto ad aprile e un'asticella del deficit innalzata per guadagnare spazio di manovra per la legge di Bilancio e per «scaricare» sul 2023 gli effetti nefasti del Superbonus. Sono questi gli assi portanti della Nota di aggiornamento del Def approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Il Pil è stimato al +0,8% quest'anno (+1% nel Def), all'1,2% nel 2024 (+1,5%) e, rispettivamente, all'1,4% e all'1% nel 2025 e nel 2026.

Di conseguenza, il deficit/Pil è indicato nel tendenziale a legislazione vigente al 5,2% nel 2023 e al 3,6% nel 2024 (3,5% nel Def). Nello scenario programmatico è al 5,3% nel 2023 (4,5%) e al 4,3% nel 2024 (3,7%). Il risultato è che la dote per la manovra ricavata in deficit passa da 4,5 a 14 miliardi, una cifra che dovrebbe essere sufficiente a coprire sia la conferma del taglio del cuneo fiscale che la prima riforma delle aliquote Irpef.

Il rapporto debito/Pil è, invece, previsto ridursi dal 141,7% del 2022 al 140,2% del 2023 al 139,6% nel 2026. Il debito pubblico è «sostanzialmente stabilizzato», ha assicurato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti in conferenza stampa, ma le ripercussioni del Superbonus sono destinate a durare. «Non diminuisce come auspicato perché il conto da pagare dei bonus edilizi, in particolare il Superbonus, sono i famosi 80 miliardi, ahimé in aumento, in 4 comode rate», ha aggiunto. Il tasso di disoccupazione è previsto in calo dal 7,6% di quest'anno al 7,3% il prossimo.

«La delega fiscale comincerà partendo dai redditi più bassi e dallo scaglione più basso», ha confermato il ministro. Questo implica che l'intenzione è innalzare la soglia dello scaglione del 23% da 15mila a 28mila euro superando l'aliquota intermedia del 25 per cento. Giorgetti, infatti, ha precisato che si punta a «2 miliardi nel 2024 di taglio spese, compreso quanto già previsto», ossia 300 milioni di risparmi dei ministeri. Difficile invece che si faccia leva sulle privatizzazioni per il debito. «Si faranno sicuramente sì, l'orizzonte è pluriennale, il se e il quando le decide il ministro dell'Economia», ha precisato confermando l'intenzione di non avviare la dismissione parziale di Mps.

Il titolare del Tesoro ha poi voluto puntualizzare che, effettivamente, non si rispetta «il famoso 3% di deficit». La situazione complessiva, ha proseguito, «non induce a ritenere di fare politiche procicliche che contribuiscano a determinare, oltre alle politiche monetarie restrittive, la recessione» e così l'asticella è stata posta «a un livello di assoluta ragionevolezza». Secondo Giorgetti, la Commissione, essendo composta da politici, dovrebbe comprendere la situazione italiana, «come la comprendono tutti i miei colleghi ministri delle Finanze europei che gestiscono una situazione di rallentamento dell'economia e in qualche caso di recessione».

In apertura del Consiglio dei ministri il premier Meloni ha voluto sottolineare che «i nostri margini sono ristretti ma dobbiamo saper dimostrare di essere, ancora una volta, una nazione credibile e solida, facendo scelte serie e di buon senso, diverse da quelle che abbiamo visto in passato». Un invito a concentrarsi sulle priorità dopo qualche polemica sulla destinazione dei fondi. «Dobbiamo concentrare le risorse sulle misure che garantiscono un moltiplicatore maggiore di crescita e che incarnano di più la nostra visione del mondo: investimenti e infrastrutture, anche attraverso la leva del Pnrr, aumento dei redditi e delle pensioni più basse, sostegno alla natalità e alla famiglia, rafforzamento della sanità e rinnovo dei contratti del pubblico impiego», ha aggiunto lasciando intravedere una legge di Bilancio che dovrebbe aggirarsi nell'ordine dei 20-25 miliardi. «Scrivere una manovra di bilancio credibile, anche agli occhi degli investitori, è tra le cose più preziose che possiamo fare», ha concluso smentendo le invettive dell'opposizione su una manovra «lacrime e sangue».

Interventi necessari visto che ieri il presidente dell'Arera, Stefano Besseghini, ha detto di prevedere «un po' di sussulto» nelle tariffe negli ultimi tre mesi dell'anno, a causa delle oscillazioni sui

mercati dell'energia. Secondo il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, è atteso un aumento del 12% per la bolletta della luce per l'ultimo trimestre del 2023 e un aumento del 9% per quella del gas di settembre.

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