Lachin (Azerbaigian) - “Basta inquinare, salviamo la natura, salviamo noi stessi”. Gli ecologisti azerbagiani, circa duecento persone in tutto che si danno il cambio ogni otto ore, scandiscono a voce alta i loro slogan. Da oltre trenta giorni stanno manifestando nella strada di Lachin e l’Armenia li accusa di bloccarla per motivi politici. Qui tutti rispediscono le accuse al mittente e preferiscono focalizzarsi principalmente sull’ambiente: “Per decenni, gli occupanti armeni hanno depredato queste terre, inquinando l’ambiente. Lo stanno continuando a fare e adesso è arrivato il momento di dire basta”, racconta un manifestante. Ma non solo.
Alla base delle manifestazioni, ripetono fonti azerbaigiane fin dall’inizio, una molteplicità di fattori: la strada pare sia stata utilizzata illegalmente, già all’indomani della firma della Dichiarazione tripartita del 2020, per il traffico illegale di armi, di mine (principale problema ancora oggi per la normalizzazione dell’area), minerali – oro e rame – sottratti dalle miniere azerbaigiane. E ancora si parla anche di movimenti illegali di cittadini stranieri, principalmente dall’Iran, lungo questo percorso. Un altro manifestante però confida che in questa vicenda l’ambiente è certamente importante ma che c’è pure dell’altro: “Non ce ne andremo da qui finché non lo faranno anche i russi e gli armeni e noi avremo finalmente il controllo delle nostre terre”.
Attorno ai manifestanti, soprattutto giovanissimi e universitari, dietro a una recinzione, sono schierati gli uomini delle forze speciali azerbaigiane. Arma automatica a tracolla e pugnale d’ordinanza alla cintura, gli abitanti del posto li vedono come degli eroi. Sono stati loro, raccontano i cittadini di Shusha, ad aver liberato la città durante l’ultima guerra, la seconda tra Armenia e Azerbaigian, combattuta nel 2020. “Per anni”, raccontano, “i nostri soldati si sono addestrati in modo tale da poter muoversi sulle montagne nel modo migliore e portando con sé il migliore, e allo stesso tempo più leggero, equipaggiamento militare”. Fonti ufficiali azerbaigiane, che preferiscono rimanere anonime, raccontano che la conquista della città da parte delle forze speciali azerbaigiane è diventata un caso di studio sia per gli Stati Uniti sia per Singapore e che recentemente è stato siglato un accordo tra il nostro ministero della Difesa e quello azerbagiano.
Sullo sfondo delle manifestazioni, sono presenti blindati e soldati russi che – come è ormai divenuta usanza dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina il 24 febbraio del 2021 – si riconoscono, oltre che dalla bandiera, anche dalla vistosa “Z” bianca su sfondo nero sul braccio. I giornalisti non li possono raggiungere. Non sembrano essere molto interessati a ciò che accade attorno a loro: c’è chi chiacchiera, chi legge un libro e infine chi è immerso totalmente nel telefonino, probabilmente su qualche social network. I soldati di Mosca “circondano” i manifestanti di Lachin e garantiscono, almeno sulla carta, la sicurezza dell’area. Ogni quaranta minuti circa si vedono i mezzi russi attraversare la strada e i ragazzi (ma tra di loro c’è pure qualche babushka) che compongono la manifestazione ecologista si spostano, lasciandoli passare. Non si parla dunque di un blocco, ne’ di catastrofe umanitaria, i mezzi russi passano, così come ambulanze, aiuti umanitari e mezzi della Croce rossa internazionale.
L’Armenia, che fino a poco tempo fa aveva un solido rapporto con la Russia di Vladimir Putin, recentemente ha iniziato ad accusare Mosca di non riuscire più a garantire la pace in Karabakh. Difficile dire se sia davvero così. Quello che è certo è che Putin si trova ora impelagato nel lungo conflitto ucraino e stretto nella morsa delle sanzioni occidentali. “Sotto l’unione sovietica, in Azerbaigian c’erano tre basi militari russe”, ci racconta una fonte governativa, “ora ci sono solo i soldati nel Karabakh”. Quello che si percepisce è che quello che è stato il cortile di casa dell’Unione sovietica si sta riorganizzando, cercando di avere un rapporto più equilibrato con Mosca che da un lato sostiene militarmente l’Armenia e dall’altro fa affari con l’Azerbaigian. Gli armeni temono che una nuova guerra, peggiore di quella del 2020, possa piombare sulle loro teste.
La
tensione su quanto sta accadendo a Lachin è alta. E basta una piccola scintilla per provocare un grande incendio. “Sono certo che qualcosa potrà cambiare”, racconta una fonte azerbaigiana, “nella prossima primavera o in estate”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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