Da napoletano dico: a fregarlo è stata Napoli

A tumulazione avvenuta e smaltita la sbornia nostalgica dei bei tempi andati, i miei amici napoletani dovrebbero chiedersi se Napoli abbia aiutato Maradona o se invece l'abbia dannato. La storia non si scrive coi «se» e nessuno può dire se giocando in un'altra città avrebbe avuto lo stesso scivolone nella droga, che prima l'ha consumato e poi ammazzato.

Diego è stato un calciatore superlativo. Il gol del secolo e anche la «mano de Dios» sono due vette del genio sportivo. Da napoletano ma non tifoso del Napoli ho gioito per i due scudetti e per la Coppa Uefa. Ma da trent'anni avere sue notizie e vederlo era solo penoso, schiacciato com'era dagli abusi. Le disintossicazioni, le sofferenze e l'appesantimento fisico e verbale sono l'immagine di sé che d'ora in avanti non sarà più costretto a dare. Ogni volta che appariva in pubblico trasmetteva una malinconia che non meritava, che gridava vendetta al confronto del talento che era stato. Ora lui non c'è più e vediamo che sia l'ultimo a fare una simile fine.

Le retoriche ascoltate in questi due giorni sono insopportabili e umilianti per Napoli, per i napoletani e per tutti i «poveri del sud del Mondo». Ma sono soprattutto quanto di più dannoso per tutti i giovani che devono crescere con l'immagine del campione. Maradona resta un'icona calcistica e sportiva, perché col pallone non solo è stato bravissimo ma è riuscito a volare dove gli altri saltavano. Con eleganza semplice, senza sguaiataggine, i suoi gesti marcavano la distanza, ponendolo su un altro pianeta. In questo senso forse sì, è stato «meglie Pelè». Resta tuttavia anche il simbolo della perdizione, che ha distrutto tutto il buono che la vita gli ha offerto. Quella vita a cui è andato incontro pieno di una classe ineguagliabile, ma privo di quel corredo di forza che non andrebbe negato a nessun bambino, per povero che sia. Per questo ha ragione chi ha scritto che Maradona deve diventare un testimonial per i giovani, perché è molto più efficace di tanti perfettini che fintamente si prestano a interpretare i valori positivi. Lui è un testimonial autentico, verace, credibile proprio perché negativo. Perché la sua stessa esistenza deve invitare a proteggersi, a non cadere come è caduto lui. Non tutti hanno talento e certamente nessuno come lui, ma tutti hanno una vita e devono sostenerla, senza lasciarsi abbindolare da quel poco o tanto successo che possano incontrare.

Non è un mistero che i clan abbiano favorito l'arrivo del campione, che ha portato con sé un talento insuperabile ma pure le sue fragilità. Poi è stato inebriato dal successo, che è positivo, e traviato dalle frequentazioni. È insopportabile leggere di lui come di un eroe, che avrebbe condotto una vita individuale ma anche collettiva, caricandosi sulle spalle il peso di un'intera comunità, napoletana o mondiale, in uno sforzo sovrumano che l'avrebbe consumato. Ma cosa, dove, quando? Questa è una storia molto terrena, in cui non c'è stata nessuna autoconsunzione, nessun rito sacrificale e dunque non può esserci nessuna santificazione, per quanto laica. Napoli come tutto il «sud del Mondo» ha problemi enormi e non deve cercare né accontentarsi di un riscatto ad opera del campione di turno. Il riscatto, l'unico che conta, è quello che ognuno si guadagna e si merita. La Napoli sana deve costruire il suo riscatto e non è Maradona.

Dopo lo stadio, il corteo i napoletani dovrebbero portarlo nelle zone di camorra, quelle popolari come quelle altolocate, per estirpare il cancro. Napoli ha ricevuto tanto da Diego. Ma cosa gli ha dato in cambio? Il sospetto è che l'abbia fottuto.

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