L'Europa, la Meloni e la narrazione di comodo sull'isolamento italiano

È ancora presto e non si può dire se Giorgia Meloni sia rimasta isolata in Europa

L'Europa, la Meloni e la narrazione di comodo sull'isolamento italiano
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A volte nella nostra politica si ragiona per slogan, per pregiudizi, per analisi che non tengono conto della realtà. La partita delle nomine a Bruxelles è servita a molti per descrivere una Giorgia Meloni isolata, che non conta molto in Europa. Magari nel primo giro di carte sarà anche vero solo che si sapeva già, in queste settimane di vigilia è stato detto in tutte le lingue. Ma la partita è lunga e la premier italiana in un'Europa in cui si guarda solo ai rapporti di forza avrà un peso solo se i voti di Fratelli d'Italia saranno necessari a puntellare - o per le paure di Ursula von der Leyen, o per l'aritmetica - la candidata del Ppe. Insomma, le somme si tireranno al secondo o al terzo giro e come sono andate le cose lo sapranno solo la candidata alla presidenza della Commissione e la Meloni, perché difficilmente sarà un accordo dichiarato ma avverrà nel segreto dell'urna del Parlamento di Strasburgo. L'unica lettura sul livello dell'ipotetica intesa la si potrà dare valutando il peso in deleghe e funzioni del commissario e magari del vicepresidente che l'Italia riuscirà portare a casa.

Non è una novità è solo la descrizione corretta del sentiero stretto da percorrere. Alla buvette di Montecitorio Alfredo Mantovano, l'influente sottosegretario alla Presidenza del consiglio, lo spiega davanti ad un panino e a una spremuta d'arancia. «Ma isolati di che? Noi conteremo - spiega - se saranno necessari i nostri voti, se la candidata alla Commissione ne avrà bisogno. Ed era cosa nota. A quel punto potremmo esercitare anche una certa influenza che si vedrà innanzitutto nel tipo di ruoli che l'Italia avrà in Commissione. E uno schema che ci permette anche di salvaguardare la nostra identità».

Insomma, è l'accordo non detto, non conclamato, quasi personale, quello più funzionale sia ad Ursula, per non avere problemi con gli alleati, e a Giorgia, per evitare polemiche nel gruppo dei Conservatori. Resta solo un cruccio che Mantovano non nasconde. «La verità è che anche questa volta - è la riflessione amara di Mantovano - come italiani non facciamo sistema. Avere dei commissari di peso nella Ue è interesse sia nostro, sia dell'opposizione non fosse altro perché saranno gli stessi che avremo in Europa nella prossima legislatura quando non si sa chi governerà il Paese. Invece, niente, è fatale, basta ricordare cosa avvenne per Rocco Buttiglione in passato, non si riesce a giocare una partita insieme per l'interesse nazionale. Ricordo che mesi fa in un convegno sulla legislazione antimafia a Palermo con i rappresentanti dei governi dei paesi sudamericani ho assistito ad uno strano dibattito: loro tessevano le lodi delle nostre leggi mentre i nostri procuratori le criticavano. Così va il mondo».

Appunto, così va il mondo. C'è chi prova un sottile piacere a dire che l'Italia è isolata. In realtà non è così perché se Antonio Tajani, che un certo seguito tra i Popolari europei ce l'ha, pone un veto ad un'intesa con i Verdi e rilancia l'ipotesi di un'apertura ai Conservatori, dà forza alla Meloni. Poi è difficile che si arrivi a tanto visto l'atteggiamento dei socialisti e dei liberali europei, ma è chiaro che una posizione del genere valorizza i voti di Fratelli d'Italia nel segreto dell'urna se non si vuole mettere a rischio il nome della Von der Leyen.

Insomma, siamo alla quadratura del cerchio se si pretende un accordo palese, ma non è la prima volta che nel Parlamento europeo le intese che contano sono solo quelle pseudo-segrete.

Resta da dire che la realtà europea, che dovrebbe essere per sua natura pragmatica, è ancora imbrigliata dalle ideologie. Eppure con la guerra ai confini dovrebbe essere interesse di tutti avere una maggioranza ampia, schierata a favore dell'Ucraina e magari dividere a destra chi guarda a Kiev da chi guarda a Putin. Sarebbe il messaggio più efficace da inviare al Cremlino. Invece colori e casacche a Bruxelles, a quanto pare, contano più dei fatti.

Ragion per cui per sapere se c'è stata un'intesa non detta, bisognerà guardare con la lente d'ingrandimento la

nomenklatura europea che verrà fuori dai giochi. «La cartina di tornasole - ripete il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, per chi non lo avesse ancora capito - sarà il peso dei nomi italiani in Commissione».

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