
Cinque giorni fa il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha messo la proposta sul tavolo: finanziare con fondi pubblici la riconversione di maestranze e aziende dell'automotive, in costante crisi, in settori più attraenti come la Difesa. Un'idea che avrebbe come interlocutori principali del governo Meloni il gruppo Stellantis e la famiglia Elkann (che oggi sarà in audizione al Parlamento). Dell'idea di una riconversione dell'automotive ne avrebbero parlato già ieri in un primo briefing il ministro Urso e il collega Guido Crosetto, ministro della Difesa. Un piano che incontrerebbe due ostacoli: la fattibilità e il timore di dare all'opinione pubblica il messaggio di un «regalo» alla famiglia Elkann. Uno scetticismo che appare trasversale nel Palazzo. Il Giornale ha provato a sondare gli umori nei partiti sul piano Urso-Crosetto. È una frenata collettiva. Ovviamente, siamo ancora nel campo delle ipotesi. Nel partito di Meloni non c'è ancora una posizione ufficiale. Anche per non irritare (senza conoscere nel dettaglio il piano) i due colleghi ministri di partito. Ma un big meloniano (a taccuini chiusi) boccia l'idea di Urso e Crosetto: «Ci stanno pensando un po' ovunque a partire dalla Germania. Ricordiamoci che 20 anni fa nell'attuale Slovacchia si riconvertì l'industria della difesa in quella dell'auto. Ma il problema non sono le sole maestranze. È che sono due mondi industriali che hanno oggi tecnologie e processi produttivi difficilmente integrabili. Ragion per cui più che di riconversione si dovrebbe parlare di chiusura di un'industria (automobilistica) e potenziamento di altra industria (della difesa). Il resto è cinema per stare sui giornali».
Un altro parlamentare Fdi (con incarichi di vertici alla Camera) intercettato a Montecitorio non chiude: «Per recuperare competitività bisogna percorrere ogni strada. Allo stesso tempo è necessario non abbandonare filiere importanti come l'automotive. In medio stat virtus». Lo stop arriva anche dal Carroccio: «Riconvertire l'automotive in industria bellica non è un bel segnale. Sarebbe bello tornare ad avere un marchio tutto italiano che producesse auto e non cannoni», avverte Armando Siri, braccio destro di Salvini. Dubbi sul piano Urso-Crosetto vengono avanzati anche dal fronte Pd. «Difficilmente la riconversione può soddisfare le esigenze di aumento della capacità produttiva dell'industria della difesa», fanno filtrare dall'entourage della segretaria. Il partito di Elly Schlein, che evidentemente avrà un filo diretto con gli Elkann, pone un ostacolo: «I primi a non essere convinti sono proprio gli Elkann». Un deputato dem dell'ala riformista al Giornale stronca senza alcun dubbio l'idea: «Non mi convince. Mi sembra un messaggio devastante all'opinione pubblica, oltre un favore agli Elkann». Il responsabile economico del Pd Antonio Misiani, braccio destro di Schlein, è l'unico a metterci la faccia: «Il Mimit farebbe meglio a ripristinare il fondo automotive e a fare qualcosa di concreto per aiutare l'innovazione tecnologica delle imprese dell'automotive». Carlo Calenda (Azione), ha le stesse remore di Fratelli d'Italia: «No, la riconversione è difficilmente praticabile. Stiamo parlando di piattaforme del tutto differenti, hanno anche una dimensione completamente differente.
Certo si potrebbe pensare a un reinserimento dei lavoratori ma non gli impianti» ci dice. E infine Forza Italia, che lascia uno spiraglio aperto accompagnato da una buona dose di scetticismo: «La riconversione da sola non basta, serve un piano europeo» ci spiega Maurizio Gasparri (Fi).
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