Cominciata tra squilli di tromba, si è conclusa con l'abbraccio-simbolo con Roberto Mancini in quel di Wembley dopo il trionfo all'europeo. Nell'intermezzo di una vita scandita prima da calciatore e chiusa poi da dirigente, c'è stato invece un azzurro color tenebra per Gianluca Vialli, nato sotto il segno del bomber di razza e finito al centro di un dissidio scoperto e clamoroso con il ct dell'epoca, Arrigo Sacchi oltre che mezza nazionale e una rottura senza precedenti. Del rapporto tormentato con il club Italia, Vialli non ha mai fatto mistero né rinnegato una sola parola. Bearzot lo battezzò in Messico 86 come scorta di Bruno Conti e degli eroi di Spagna '82 giunti al capolinea, ma fu Azeglio Vicini, suo precettore con l'under 21, a ritagliargli il ruolo di protagonista nell'europeo dell'88. Sembrò l'incipit di una carriera folgorante, divenne molto altro. Perché il «suo» mondiale, quello italiano del 1990, si trasformò in un autentico supplizio. Vialli debuttò senza incantare con l'Austria ma presto venne soppiantato dalla sagoma di Totò Schillaci e dal talento dell'astro nascente Roberto Baggio. Qualche fuga notturna dal ritiro di Marino -poi confessata pubblicamente da Alba Parietti- e un fastidioso acciacco gli resero il mondiale della consacrazione internazionale amarissimo. Lo rivedemmo, senza riconoscerlo, a Napoli, semifinale con l'Argentina, persa ai rigori, epilogo amaro di quell'avventura.
Nell'estate successiva, preparazione allo scudetto della Samp, Vialli chiese e ottenne una settimana in più di vacanze dal presidente Mantovani per smaltire i postumi della gigantesca delusione. Tra qualche alto (gol del 3 a 2 sull'Olanda a Eindhoven) e molti bassi, chiuse molto presto la sua carriera azzurra con un gol a Malta datato dicembre '92. La spiegazione è nota: i rapporti tempestosi con Sacchi e il suo vice Ancelotti. «Ho detto loro che non condivido i metodi di allenamento» confessò Gianluca pubblicamente. E quando più tardi, prima dell'europeo in Inghilterra (1996), Arrigo lo convinse a tornare in Nazionale, fu Vialli a decretare lo strappo definitivo. «Ho deciso di lasciare la Nazionale» dettò nel settembre del '95. Era caduto il veto del club Italia nato per qualche intervista piena di veleno ma non certo l'orgoglio ferito dell'interessato.
«È stato il mondiale dei crampi e delle lacrime» sintetizzò Gianluca dopo la finalissima di Pasadena, estate 1994, svanita ai rigori con gli errori di Baggio e le lacrime amare di Franco Baresi. Da quelle parole e dai rapporti turbolenti tra Samp e Milan decollò la rottura definitiva conclamata da un altro famoso pronostico. «Farò il tifo per l'Inghilterra anche se dovesse giocare con l'Italia» promise prima dell'europeo del '96.
Per tutti questi burrascosi precedenti, appena rimise piede a Coverciano, chiamato da Gravina su suggerimento di Mancini come capo-delegazione, pensò che era arrivato il momento di rimettere l'azzurro al centro della propria esistenza. E anche del suo cuore.
Che batté forte fino alla serata simbolo della finalissima con l'Inghilterra. Non ebbe la forza di guardare i rigori Vialli. Si accorse del prodigio di Gigio solo quando vide i massaggiatori della panchina schizzare come un tappo di champagne. Il cerchio, pensò allora, si è chiuso. Finalmente.
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