Ncd beffato sul Jobs Act

Sacconi: se il testo cambia ce ne andiamo. Il Pd: protestino pure. Sciopero, è scontro tra Garante e Cgil

Ncd beffato sul Jobs Act

La tela di Penelope del Jobs Act, appena ricucita a sinistra, si strappa di nuovo a destra. Ieri il governo ha annunciato un emendamento, che sarà presentato oggi in commissione Lavoro, per reintrodurre il reintegro per alcune tipologie di licenziamenti disciplinari, come concordato con la minoranza Pd. Ma se a sinistra si è raggiunto l'armistizio, e persino il dissidente indefesso Pippo Civati ammette che a votare contro resteranno in quattro gatti, Ncd risale sulle barricate: «L'annuncio del governo non corrisponde a quanto concordato. Se vedessimo un testo diverso da quello che conosciamo ce ne andremmo dalla Commissione e si aprirebbe un bel contenzioso nella maggioranza», dichiara il capogruppo Ncd al Senato Maurizio Sacconi. Il testo però è ancora alla Camera, dove i rapporti di forza in Commissione sono netti: «Noi siamo ventidue e loro due, facessero pure», dicono dal Pd. E persino nel governo non mostrano grande allarme per il nuovo fronte: «Fanno bene a dire che non sono d'accordo, così dimostrano quanto sia importante e anche costoso per la maggioranza il compromesso raggiunto». Insomma, più Ncd protesta più si ricompatta il Pd e diventa difficile per la sinistra interna, e fuori dal parlamento per i sindacati, accusare il governo di aver fatto una riforma di destra e di aver imbastito quella «presa per il culo» denunciata da Maurizio Landini.

Quel che interessa al premier è che la riforma passi, e in fretta. «L'impegno che abbiamo preso pubblicamente è che sia legge alla fine dell'anno», è stato il messaggio che Matteo Renzi ha mandato dall'Australia, prima di iniziare il viaggio di rientro che (con una tappa in Turkhmenistan) lo riporterà in Italia. Il voto di fiducia non è ancora ufficialmente annunciato, e il ministro Maria Elena Boschi prende tempo: «Bisogna prima terminare il lavoro in commissione e vedere quanti emendamenti saranno presentati per l'aula». Ma è quasi certo che ci sarà, per tagliare i tempi dell'ostruzionismo di Sel e M5S, e per blindare la maggioranza nonostante i maldipancia Ncd. Ieri intanto l'aula della Camera ha calendarizzato il provvedimento: venerdì 21 dovrà arrivare in aula, per essere licenziato entro il 26. Poi sarà necessario un secondo passaggio in Senato, visto che il testo originale viene modificato.

Intanto il governo lavora anche per depotenziare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil per il 5 dicembre, sul quale peraltro è piombato ieri anche il verdetto dell'Autorità di garanzia: «Sciopero parzialmente illegittimo», alcuni settori andranno esclusi, a cominciare dal trasporto ferroviario e, in molte province, da quello locale. Accuse respinte al mittente dalla leader Cgil Susanna Camusso («Nessuna illegittimità») durante la conferenza stampa convocata dopo l'incontro di Palazzo Chigi con il sottosegretario Graziano Delrio e dal ministro Marianna Madia per discutere di Pa, rinnovo dei contratti e aumenti salariali. La Camusso spera di convincere Cisl e Uil dopo il no del governo agli aumenti («Nessuno statale perderà il posto ma non ci sono risorse. I sindacati non sprechino l'occasione per dialogare», ha detto la Madia).

Il segretario generale Cisl Annamaria Furlan è delusa: «Non c'è né disponibilità né coscienza di quanto sia importante il rinnovo del contratto». E il leader Uil Carmelo Barbagallo affonda: «La mobilità coatta? Non vorremmo trovarci davanti a licenziamenti bianchi».

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