Il maestro Battiato non li perdonerebbe mai per l'indebita appropriazione culturale, ma in queste settimane in Parlamento si moltiplicano i suoi seguaci involontari. Come gesuiti euclidei - il physique du rôle dei «furbi contrabbandieri macedoni» davvero non lo possono vantare -, sono ormai tanti i leader di partito che si accalcano cercando un centro di gravità. Se non permanente, almeno provvisorio. Giusto il tempo di brillare come una supernova di zerovirgola e raggranellare qualche consenso in vista delle prossime elezioni.
Improvvisamente, a trent'anni di distanza dalla dissoluzione della dissoluta Democrazia Cristiana, la politica italiana sembra essere tornata centripeta. Addio bipolarismo, addio tripolarismo, addio (con riserva) al sovranismo. Complice l'ingovernabilità del presente e del passato prossimo, sulla scia delle suggestioni esotiche di Grosse Koalition e formule Ursula varie che si riverberano nella maggioranza Draghi, quasi tutti non perdono occasione per «guardare al centro». O meglio, ai centri. Che sono uno, nessuno e centromila.
C'è il centro di centrodestra, dove dietro Forza Italia si accalcano i litigiosi alfieri Brugnaro e Toti di Coraggio Italia, l'Idea di Quagliariello, Noi con l'Italia di Lupi & C., l'Unione di centro di Cesa. C'è il centro di centro con il Centro democratico di Tabacci e il nascente Noi di centro di Mastella. E c'è il centro di centrosinistra con Italia Viva, +Europa e Azione di Calenda, ultimo esponente della teoria dell'Ago della bilancia. Quella secondo la quale ogni micro-movimento nasce con il preciso intento vagamente megalomane di essere decisivo per la stabilità. Il che fa venire in mente un'arguta profezia: quando la scienza scoprirà il centro dell'universo, in tanti saranno dispiaciuti nel realizzare che non sono loro.
Le ragioni politiche di questo ritorno di fiamma (non tricolore...) per la moderazione sono molteplici e discendono in gran parte da una legge elettorale ormai incompatibile con la frammentazione attuale dei partiti. A cui va sommato il nuovo fattore dell'«anti-politica cerebrale», ossia il volto più intellettuale di quella tutta pancia che fu del Movimento 5 Stelle. È la costante tentazione del «nuovo», la ricerca di qualcosa di incorrotto perché estraneo al pantano, il fascino relativo esercitato da qualsiasi sigla condanni il pantano di leader e leaderini che - da qualsiasi parte li si guardi e li si voti - da parecchio tempo offrono prove modeste, vedi il caso Quirinale.
Da simbolo geografico ed etico del compromesso, dunque, il centro diventa una terra promessa, uno spazio potenziale di espansione e conquista di voti. E questa fase matura, in cui gli estremismi smussano gli artigli, sarebbe anche un'evoluzione sana e naturale della politica, che funziona come esattamente come l'uomo per Borges: da giovane cerca i tramonti, i sobborghi e l'infelicità, poi col tempo passa a cercare i mattini, il centro e la serenità. Tutto questo vale però soltanto se la colonizzazione di quelle aree di consenso è guidata da soggetti forti, storici come la Cdu della Merkel o neonati à la Macron per intenderci. Altrimenti, ed è questo il panorama al momento, la grande visione catartica del centro che può salvare il Paese si riduce a un puzzle di pezzi buoni solo per pesarsi e ricattare in chiave proporzionale.
Con un ulteriore rischio, l'«effetto supermercato»: quello per cui, quando l'altoparlante avverte che apre la cassa 9, da destra e da sinistra torme di clienti muovono i loro carrelli stracolmi con il miraggio di ridurre l'attesa in coda. Si «differenziano», con il risultato di creare un nuovo ingorgo. Altrettanto ingestibile, però almeno in posizione magnificamente centrale.
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