"Nessuno al Trivulzio vietò di indossare mascherine"

La Commissione sul Pat: mortalità inferiore alla media delle altre Rsa. I primi contagi? Già a febbraio

"Nessuno al Trivulzio vietò di indossare mascherine"

Milano L'accusa più grave e più diretta viene smontata: «Nella documentazione disponibile (vedi anche l'audizione del professor Bergamaschini) non si sono reperiti riscontri circa gli asseriti ordini impartiti a taluni operatori di non indossare dpi che non fossero stati forniti» dal Trivulzio. È dalle denunce di Luigi Bergamaschini, responsabile di Geriatria al Pat, che erano nate le inchieste giornalistiche sull'istituto. Il secondo dato: la mortalità registrata tra gli ospiti del Trivulzio (si parla purtroppo di circa 300 decessi solo nel periodo gennaio-aprile) è «molto inferiore» rispetto alla media delle altre Rsa del territorio dell'Ats Milano e «di poco superiore» alla media delle morti tra la popolazione generale over 70 della stessa Azienda territoriale.

La relazione finale della Commissione di verifica della gestione dell'emergenza Covid-19 presso il Pat, istituita l'8 aprile da Regione Lombardia e Comune di Milano, è stata presentata ieri. Il gruppo è presieduto dal direttore sanitario di Ats Milano, Vittorio Demicheli, e ne fanno parte tra gli altri i magistrati in pensione Giovanni Canzio (indicato dal Pirellone) e Gherardo Colombo (indicato da Palazzo Marino). Il documento, redatto alla fine di 23 riunioni, 16 audizioni e l'analisi di oltre 1.400 documenti, affronta tutti i nodi emersi in questi mesi da accuse e denunce. È stato trasmesso alla Procura di Milano, che indaga sulla diffusione dei contagi nella struttura e ha iscritto il dg Giuseppe Calicchio. Vengono evidenziate numerose «criticità». Scrivono gli esperti: «Pur disponendo di un solido sistema di gestione della Prevenzione e sicurezza aziendale, il Pat non è sempre riuscito a dare adeguata applicazione alle procedure di tutela degli operatori durante l'emergenza da Sars-Cov-2 a causa di più fattori critici concomitanti». Alcuni «esterni», come «la scarsa disponibilità di dpi e la difficoltà di un loro reperimento» e «l'indicazione ministeriale di effettuare i tamponi nasofaringei» per la ricerca del virus «solo all'ingresso in ospedale». Altri «interni», come «un elevato tasso di assenteismo del personale, anche prima dell'emergenza sanitaria, che ha raggiunto dimensioni tali da rendere difficoltoso non solo il rispetto di regole e procedure ma gli stessi livelli di assistenza». Per quanto riguarda le assenze, definite «anomale» da Demicheli rispetto alle altre Rsa nello stesso periodo, la Commissione sottolinea che su circa 900 operatori gli assenti all'inizio dell'emergenza erano il 30 per cento. Mentre hanno raggiunto il 57 per cento nel periodo dell'epidemia e i lavoratori «congedati per infortunio», cioè Covid positivi, erano il 9 per cento. Al Pat fanno notare come il problema dell'assenteismo, in quello che tra l'altro è un ente pubblico, sia presente da anni e in larga parte indipendente dalla bufera Coronavirus. Legato forse a criticità sindacali, ma comunque nel rispetto dei diritti dei lavoratori. Si tratta per lo più di assenze per permessi, malattia, Legge 104.

La relazione concede ai vertici del Pat che «la possibilità di una pandemia da Coronavirus non era contemplata neppure dai piani pandemici nazionali e regionali». C'è poi un altro aspetto importante. Dalla Commissione arriva la conferma che i primi contagi si sono verificati, spiega Damicheli, «già alla fine di febbraio, pur non avendo una convalida diagnostica certa». Quindi non sarebbero legati al tanto discusso trasferimento di pazienti dagli ospedali (dichiarati in ogni caso «Covid free» dalle strutture che li inviavano) durante l'epidemia.

«La relazione - commentano insieme il presidente del Consiglio di indirizzo Maurizio Carrara e il dg Calicchio - fa giustizia del grande lavoro svolto dal Pat nelle eccezionali e gravi condizioni in cui si è sviluppata la pandemia a Milano e in Lombardia nel primo quadrimestre del 2020».

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