Il piano di Donald Trump per «svuotare» Gaza e trasferire i palestinesi in Egitto e Giordania, giudicato irrealistico da più parti, oltre all'estrema destra israeliana piace pure agli alleati di Benjamin Netanyahu. Mentre Egitto e Giordania, insieme ai palestinesi, respingono con fermezza il progetto, peraltro temendo che Israele non permetterebbe mai alla popolazione di tornare nella Striscia una volta costretta ad andarsene, il ministro delle Finanze dello stato ebraico Bezalel Smotrich, secondo Haaretz, è impegnato con il premier e il gabinetto di sicurezza di Tel Aviv per «preparare un piano operativo e garantire che la visione del presidente americano venga realizzata». Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, osserva: «Una delle nostre richieste è quella di promuovere l'emigrazione volontaria. Quando il presidente della più grande superpotenza del mondo, Trump, solleva personalmente questa idea, vale la pena che il governo israeliano la attui».
Un ministro del gabinetto di sicurezza, nel frattempo, rivela al Times of Israel che la dichiarazione fatta da The Donald sull'Air Force One è stata probabilmente coordinata con Netanyahu, e ha lo scopo in parte di aiutare l'alleato a impedire che il suo governo collassi a causa dell'accordo di cessate il fuoco con Hamas. Dopo lo scoppio della guerra, Bibi «ha parlato di migrazione volontaria insieme ai ministri del Likud e abbiamo anche iniziato a fare sforzi in quella direzione. Queste dichiarazioni hanno scatenato l'opposizione globale quindi ci siamo fermati, pur se sappiamo che questa è l'unica soluzione», prosegue.
Netanyahu, come riportano tre fonti israeliane e americane anonime, ha in programma di vedere il tycoon alla Casa Bianca la prossima settimana, e la sua visita sarebbe la prima di un leader straniero a Washington da quando Trump è diventato il 47esimo comandante in capo Usa. Il premier dovrebbe arrivare il 3 febbraio nella capitale e ripartire il 5, ma ancora non è chiara la data esatta del bilaterale (ieri, invece, è tornato in tribunale dopo l'operazione del mese scorso per rispondere alle accuse di frode, abuso di fiducia e accettazione di tangenti in tre casi separati).
Intanto, nel Vecchio Continente, il governo tedesco respinge l'idea di uno spostamento di massa dei palestinesi, e un portavoce del ministero degli Esteri ribadisce di condividere la posizione «dell'Unione Europea, dei nostri partner arabi, e delle Nazioni Unite che la popolazione palestinese non deve essere espulsa da Gaza e Gaza non deve essere occupata o ricolonizzata in modo permanente da Israele».
La premier Giorgia Meloni sottolinea da parte sua che «Trump ha ragione quando dice che la ricostruzione di Gaza è una delle sfide principali che abbiamo di fronte, e che per avere successo serve un grande coinvolgimento della comunità internazionale». «Dopodiché, per quello che riguarda il tema dei rifugiati non credo, ancora una volta, che siamo di fronte a un piano definito, penso che siamo piuttosto di fronte a delle interlocuzioni con gli attori regionali che sicuramente su questo vanno coinvolti», prosegue. E il ministro della Difesa Guido Crosetto precisa che «il pragmatismo di Trump parte dalla constatazione della realtà.
Lancia sassi nello stagno tutti i giorni, ma sono sassi che normalmente fanno riflettere e hanno delle conseguenze e accelerano le soluzioni. Su una cosa ha ragione, Gaza ora è un cumulo di macerie, va ripulita. È un lavoro che richiederà anni. Vanno trovate delle soluzioni che consentano nel frattempo ai palestinesi di vivere in serenità».
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