Il 7 gennaio degli impianti di sci rischia di trasformarsi nelle calende greche di sempre. Ora anche gli impiantisti potrebbero non voler aprire, qualcuno lo ha già messo agli atti, come una piccola, ma cruciale, porzione di val Gardena che, dopo aver avviato le seggiovie per far svolgere la gara di Coppa del Mondo sulla Saslong, ha richiuso, dando appuntamento a prescindere dall'evoluzione della pandemia - al prossimo anno. Una decisione che cozza, in primis, con il resto dell'Alto Adige che invece per bocca di Helmut Sartori, presidente della locale associazione esercenti funiviari - sembrerebbe voler procedere in autonomia, applicando lo statuto provinciale in materia di Covid e provare ad aprire l'11 gennaio. In Valtellina e al Tonale si ricorda che le spese ci sono anche a impianti chiusi, al Sestriere si punta su tesserati e sci club, all'Abetone oggi va in scena una protesta.
Divisi, dubbiosi e scontenti, molti, intanto, fanno i conti: perso quasi il 40% della stagione senza il Natale, aprire fra le incertezze, con i contagi ancora alti, il personale in parte in stand by e magari per poche settimane, potrebbe non aver senso. Meglio i ristori, se fossero congrui e rapidi. Che l'apertura dopo l'Epifania fosse un miraggio era già chiaro ai più. Il protocollo, varato in zona Cesarini a ottobre inoltrato, presentato dagli impiantisti ormai a fine novembre - alla conferenza delle Regioni, si è arenato al Cts poco prima di Natale, con il Dpcm di Conte sugli spostamenti. Da allora nessuno ha più riguardato quelle regole.
Ora quelle linee guida non piacciono più a nessuno: non garbano al Cts che chiede garanzie ancora più stringenti su almeno tre punti. Capienza ridotta al 50% per tutti gli impianti chiusi, fasce di accesso graduali alle piste (una sorta di numero chiuso orario) e garanzie che le procedure di vendita on line degli skipass siano fluide, non solo per il singolo ticket, ma anche per i plurigiornalieri. Dici poco: senza sperimentazione la vendita on line «di massa» sarebbe già una rivoluzione copernicana, inseguita da tempo. Partire senza prove, sembra un azzardo: «Come gestiremo località che hanno più punti di accesso alle piste e dove si ripassa spesso a valle dal primo impianto preso al mattino?», spiegano alcuni impiantisti. Si tratta di questioni molto tecniche, chiare agli addetti fin dal principio. Solo che prima di Natale nessuno voleva ammetterlo. Ora, invece, è tempo di pensare anche ai dettagli. E allora, a questo punto sono anche gli impiantisti a nicchiare: «Le regole presentate ormai un mese fa dovevano valere in emergenza per salvare il Natale», fanno sapere da Dolomiti Super Ski, che vale una bella fetta degli impianti italiani. «Ora siamo noi proseguono - a volere garanzie e date chiare dal governo, perché abbiamo lavorato sodo per garantire la sicurezza».
Sulla capienza, per esempio, molti impiantisti vorrebbero salire all'80% per gestire meglio i flussi alle partenze. La palla ora torna alla conferenza delle Regioni che avrebbe 7 giorni, festivi compresi, per ricalibrare il tutto.
Una data c'è: ed è un punto di non ritorno secondo Valeria Ghezzi, presidente di Anef associazione nazionale esercenti funiviari: «Se non si apre entro inizio febbraio potrebbe essere meglio non farlo». Intanto il Cts almeno su una cosa è stato chiaro: «La circolazione del virus rimane elevata e serve cautela». Fuori nevica, ma dentro è bufera.
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