Il decreto salva-Milano", quello che doveva togliere d'impiccio la giunta di Beppe Sala dalle inchieste della magistratura sulla sua gestione dell'Urbanistica cittadina, non è arrivato in tempo. Così il prossimo 11 aprile si aprirà il primo processo della lunga serie che la Procura vuole realizzare contro funzionari comunali, architetti e costruttori, tutti accusati in sostanza per la stessa colpa: la strada veloce chiesta e ottenuta per costruire palazzi che raddoppiavano o triplicavano la dimensione di quelli abbattuti, senza passare per licenze edilizie e altre pastoie previste dal piano regolatore, e utilizzando soltanto una sorta di autocertificazione, la cosiddetta «scia».
Il primo caso a portare gli imputati alla sbarra è relativo alla Torre Milano, un progetto ormai completamente venduto e realizzato (e di cui la Procura non chiede l'abbattimento): in via Stresa, alle spalle di via Melchiorre Gioia, vennero demoliti alcuni stabili destinati ad uffici, dell'altezza non superiore ai tre piani, ed è sorto un palazzone di ventiquattro piani, che svetta sul quartiere con i suoi ottanta metri togliendo (secondo le denunce arrivate in Procura) «visuale, esposizione, luce, sole» agli abitanti del quartiere. L'inchiesta condotta dalla Procura guidata da Guido Viola ha individuato i responsabili del «via libera» al progetto in due alti funzionari dell'assessorato all'Edilizia, Giovanni Oggioni e Franco Zinna: sono due uomini di punta delle burocrazia comunale, quell'apparato di tecnici che secondo il sindaco Sala ora non decide e non firma più nulla per paura di ritrovarsi sotto la scure dei pm. Oggioni e Zinna sono stati ieri rinviati a giudizio insieme ai costruttori della Torre Milano, Carlo e Stefano Rusconi, al progettista Gianni Beretta e ad altri tre imputati. Le accuse sono di violazione della legge urbanistica del 2001 e di lottizzazione abusiva.
Secondo il decreto di rinvio a giudizio, l'opera «andava integralmente qualificata di nuova costruzione, prevedendo la costruzione di un organismo edilizio radicalmente uovo e privo di qualsivoglia minimo legame funzionale o strutturale con i preesistenti demoliti». E ancora: «il progetto a causa delle elevate cubature insediate - di gran lunga eccedenti l'indice di 3 metri cubi al metro quadro - non poteva essere realizzato in assenza di uno dei piani urbanistici di dettaglio». In questo modo, oltre al «rilevante peggioramento delle condizioni di soleggiamento non solo degli edifici limitrofi ma anche degli spazi verdi di tutta la zona» la Torre causava «la compromissione del paesaggio urbano, per effetto del forte contrasto con i caratteri morfologici dell'ambito». Un contrasto, ricorda il giudice, che era stato rilevato già nel 2018 dalla commissione Paesaggio del Comune stesso.
Il grande assente, nella ricostruzione della Procura, è il movente che avrebbe spinto i burocrati di Palazzo Marino ad agevolare le mire espansionistiche dei costruttori: di tangenti
non è mai stata trovata traccia, il filo conduttore in questo e negli altri venti casi sotto inchiesta sembra la spinta politica ad uno sviluppo rapido della metropoli. E anche di questo si parlerà abbondantemente in aula.
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