Il nodo Lep, ecco la formula per fare guadagnare il Paese

La partita dei "livelli essenziali di prestazione" in 14 ambiti del federalismo. Lo Stato deve definire gli standard di prestazione e assicurare le risorse

Il nodo Lep, ecco la formula per fare guadagnare il Paese
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Se il ritorno del tema federalista è l'argomento più caldo e divisivo, l'acronimo del momento è Lep.

I «livelli essenziali di prestazione» sono anche la croce (e la potenziale delizia) dell'autonomia differenziata divenuta legge due giorni fa alla Camera. Per la gioia della Lega e lo scorno delle opposizioni dalla memoria corta: l'autonomia varata due giorni fa è «figlia» della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, voluta da Massimo D'Alema e varata dal governo di Giuliano Amato. E a dirla tutta, già nel 1993 il leader del Pds Achille Occhetto ipotizzava di metter mano al Titolo V in senso federalista con il suo «libretto verde».

Ma torniamo ai Lep. Dalla cui definizione dipenderà il successo dell'autonomia. Perché dei 23 ambiti che la nuova legge autorizza a trasferire alle Regioni, solo 9 non dipendono dal varo dei Livelli minimi. Per tutte le altre, in pratica, lo Stato dovrà e ha 24 mesi di tempo - definire gli standard minimi che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale per le prestazioni in materia di diritti civili e sociali nelle 14 materie oggetto di potenziale trattativa per l'autonomia rafforzata. Standard, appunto, che devono essere garantiti ovunque, anche nelle Regioni che non hanno intenzione di chiedere il trasferimento di quegli ambiti. Il punto delicato è che, oltre a fissare questi livelli, lo Stato deve anche assicurare la copertura finanziaria, individuando le risorse necessarie ad attuarli.

Curiosamente, dal sistema «scivola via» un settore essenziale come la Salute. Ma solo perché in quel campo esistono già gli equivalenti Lea, i livelli essenziali di assistenza che vanno garantiti nella Sanità, da Sud a Nord.

Sui Lep, previsti già dalla riforma del 2001 ma rimasti inattuati, si è messo al lavoro lo scorso anno il Clep, il Comitato guidato dal giurista Sabino Cassese incaricato di individuarli, che a fine anno ha consegnato il suo rapporto al ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli. Ora la palla ce l'ha lui, con la sua Cabina di regia che dovrà determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali. La commissione Cassese ne ha individuato 237. La nuova legge ora delega l'esecutivo a determinare quei Lep entro 24 mesi dall'entrata in vigore della riforma.

Per i critici, il rischio è l'aumento delle diseguaglianze. Per non metter mano al portafogli, lo Stato potrebbe individuare i Lep basandosi sul livelli attuali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali. Per capirci, se nelle scuole il numero medio di alunni è di 26 per classe, piuttosto che ambire a un miglioramento (che si tradurrebbe in nuovi investimenti e maggiori spese) il Lep potrebbe limitarsi a fotografare l'esistente. E sarebbero poi le singole Regioni che hanno richiesto il trasferimento delle funzioni, semmai, a puntare a traguardi più virtuosi.

Proprio qui c'è però un'opportunità anche per le Regioni meno ricche. Che potrebbero cercare di riscattarsi chiedendo il trasferimento di funzioni e risorse, e soprattutto sfruttando il volano del Pnrr. Che, guarda caso, secondo l'ultimo rapporto Svimez ha spinto più di tutti il Mezzogiorno: nel 2023 +1,3 per cento di Pil (contro una media nazionale dello 0,9 per cento) e +2,6 di occupati, crescita record contro un dato nazionale che si ferma all'1,8.

Ecco, forse i Governatori meridionali che oggi sollevano il timore che il trasferimento di risorse e competenze verso le ricche regioni del Nord apra il fianco a una «secessione dei ricchi» e

che vedono nell'autonomia differenziata solo un problema, potrebbero raccogliere l'assist. E anche la «provocazione» di Salvini, che ha parlato di grande opportunità per il Sud, perché «chi è capace non ha nulla da temere».

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