Indifferenza, impazienza e inquietudine: tre «i» che rappresentano i tre mali di oggi per i giovani. La Chiesa ha davanti grandi sfide: un linguaggio sempre più contemporaneo sui temi etici, senza cedere nei principi ma mettendo le nuove generazioni di fronte a stimoli forti, per «formare» e non solo «informare» i ragazzi; il rapporto con i social, il ruolo della politica, con uno sguardo alla nuova Ue che si sta formando. Parla al Giornale il cardinale Gianfranco Ravasi, fine teologo, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, autore per le Edizioni San Paolo del volume Cuori inquieti - I giovani nella Bibbia, che fa parte della collana «BUC, Il potere delle parole», la nuova edizione della Biblioteca Universale Cristiana, da domani nelle librerie.
«I giovani nella Bibbia». Cosa emerge dal volume che ha curato?
«È un lavoro apparentemente di retrospezione, che ripercorre una cinquantina di figure remote ma che rappresentano modelli di esperienze ancora attuali. Pensiamo ai fratelli coltelli - Caino ed Abele, e la lotta all'interno della famiglia. O al tema dello stupro e della violenza, parlando dei casi di Dina - che subisce uno stupro di gruppo - e Tamar, una delle figlie di Davide: il fratellastro Amnon prima la vuole a tutti i costi, poi la violenta e infine la odia. È quanto accade anche nei nostri giorni. Ci sono poi esempi di persone che si donano, ma anche storie di dolore o quella di un ragazzo in crisi, come quella della parabola del figlio prodigo nel Vangelo di Luca. Nel libro analizzo tanti esempi apparentemente remoti ma che riflettono una vasta gamma di problemi che vivono i giovani oggi».
Come vivono la fede i giovani di oggi?
«A prima vista sembrano essere piuttosto lontani almeno dalle religioni. Credo piuttosto che i giovani non si ritrovino nel linguaggio religioso contemporaneo. Il nodo fondamentale è questo: è necessario ritrovare un linguaggio che sia più pertinente a loro. Un linguaggio che non deve necessariamente abbassare il livello delle esigenze religiose; concedere tutto alla fine non porta ad avvicinare maggiormente i giovani. Per loro forse vale più la terapia shock, un discorso inquietante e provocante, basato sulla potenza del Vangelo. Dovremmo ritrovare una forza religiosa che è spina nel fianco, ovvero qualcosa che li coinvolga e li stravolga, senza lasciarli di fronte a qualcosa di scontato. Credo che la Chiesa dovrebbe essere molto più attenta al linguaggio più adatto a loro, non deve essere assente nell'infosfera. Un linguaggio capace di offrire uno stimolo per creare non delle persone informate, ma persone formate. È una sfida non facile, anche perché la grande malattia di oggi è l'indifferenza. Perfino di fronte a guerre, disagi economici e situazioni drammatiche, ci si assuefa».
Quali le sfide della chiesa sui temi etici?
«Sui temi quali la vita e la sessualità la Chiesa non deve sciogliere la sua dottrina per far sì che i giovani si avvicinino. Occorre trovare quell'equilibrio che aveva anche Cristo: affermava il principio ma poi perdonava. Rifuggiamo dalla tentazione di proclamare i principi in maniera fondamentalista, evitiamo i due estremi: da un lato il concordismo sociale - fare il minimo indispensabile - dall'altro la rigidità. È l'esempio dell'adultera: da Gesù non è giudicata ma le viene rivolto l'appello a non peccare più. È un equilibrio delicato. La Chiesa si sta sforzando ma occorre farlo in modo più rigoroso e sistematico. E questo riguarda la pastorale in generale».
Altra sfida il rapporto tra giovani e social.
«La Chiesa sta facendo molto, ma non si tratta solo di moltiplicare i siti o gli influencer. È la qualità della comunicazione che conta. Come si prepara una predica o una catechesi, così va preparata la nuova comunicazione in Rete. Questo manca, va incrementata la preparazione. La presenza nella Rete è abbastanza significativa ma deve essere sempre più curata, senza tuttavia abbandonare le vie tradizionali perché la religione cristiana è una religione di dialogo diretto, di contatto, di corpo».
Giovani e politica. Che rapporto c'è oggi?
«C'è un certo distacco dei giovani verso la politica e questo dipende dal fatto che non esistono i grandi progetti nella politica attuale. Anche quando si fanno progetti, questi non hanno una vera e propria incidenza, una capacità di trasformazione della società. E i giovani vedono nella società un orizzonte spesso basso, così come basso è spesso il livello della classe politica. Inoltre, i giovani hanno l'idea del branco e non della comunità e su questo la Chiesa deve lavorare. Se la società vuole elevarsi, ha bisogno di avere un orizzonte più intenso, alto e solidale».
Cosa auspica per l'Unione Europea dopo le elezioni?
«Sono un fermo appassionato cultore dell'Europa e della sua molteplicità. Rispetto agli Stati Uniti, che sono piuttosto omogenei, con una lingua comune, con una certa omogeneità di cultura, l'Europa è un arcipelago molto ricco. Abbiamo una ricchezza molteplice che va dai paesi slavi all'Europa anglosassone fino all'Europa mediterranea. Quanta ricchezza abbiamo, anche linguistica! Questa è l'Europa che mi affascina, purtroppo spesso ridotta e impoverita in schemi solo economici».
Un tema molto dibattuto in questo momento è l'accesso ai seminari per i candidati omosessuali. Quale è la sua posizione?
«Penso che l'attuale sia una regola prudenziale, tenendo inoltre conto del fatto che esiste il celibato o la castità nella componente del clero occidentale attuale, e questo varrebbe anche per le figure omosessuali.
L'accesso agli omosessuali rappresenterebbe una svolta che non può essere così immediatamente adottata. Rispetto e attenzione, accoglienza e comprensione, ma la questione va studiata bene perché è veramente una nuova tipologia vocazionale».
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