Non canta "Bella ciao": Laura fascista

C'è da scommetterci che avrebbe risposto uguale anche se le avessero chiesto di cantare Faccetta nera oppure El Pueblo Unido Jamas Sera Vencido

Non canta "Bella ciao": Laura fascista

C'è da scommetterci che avrebbe risposto uguale anche se le avessero chiesto di cantare Faccetta nera oppure El Pueblo Unido Jamas Sera Vencido oppure qualsiasi altro brano dal forte connotato politico. Invece ha scelto di non cantare Bella ciao ed è finita nel tritacarne dei social. Riassunto. L'altro giorno Laura Pausini ha partecipato al programma tv spagnolo El Hormiguero, nel quale si è ritrovata a dover cantare un brano con la parola «corazon». Lei ha intonato Cuore matto di Little Tony ma nessuno sembrava riconoscerla e allora il conduttore ha intonato Bella ciao, famosa in Spagna anche perché compresa nella serie Netflix La casa di carta. Laura Pausini ha risposto come avrebbe risposto per qualsiasi altra canzone a chiaro contenuto politico: «Troppo politica, non mi piace cantare canzoni troppo politiche». Apriti cielo. Il conduttore è andato avanti come se niente fosse. Ma i social, si sa, non perdonano. E hanno iniziato a mitragliare accuse totalmente campate per aria fino alla classica «sei una fascista». Su Facebook un fan ha scritto: «Mi ha fatto vergognare, con il suo rifiuto a cantare Bella Ciao. Vuol dire non conoscere le radici della sua terra. La canzone ha una storia e una prima versione che era il canto delle mondine, sfruttate e maltrattate. Bella Ciao è il canto che da la voce agli oppressi. Ha perso una buona occasione peccato». Tanto rumore per nulla. Dopo poco Laura Pausini ha scritto sui suoi social ciò che era già ovvio a chiunque la conosca, ossia che «non canto canzoni politiche, né di destra né di sinistra. Canto quello che penso della vita da 30 anni. Che il fascismo sia una vergogna assoluta sembra ovvio a tutti. Non voglio che nessuno mi usi per propaganda politica. Non inventate ciò che non sono». Il caso è chiuso, ma rimane aperto quello legato ai pregiudizi, ai riflessi condizionati di chi valuta tutto con un unico metro, quello della propria appartenenza politica. Come già accadeva negli anni Settanta, chi non si schiera è automaticamente un «nemico». Non importa che un artista popolare scelga di non avere riflessi politici in pubblico, la sua neutralità equivale a una dichiarazione, a una scelta di campo.

È uno dei controsensi del Novecento che ancora non si sono appianati nonostante generazioni di artisti li abbiano denunciati. E, nonostante la vorace tendenza a guardare il futuro, sembra che su questo i social restino implacabilmente legati al passato. Dopotutto, le piaghe ideologiche sono le più difficili da rimarginare.

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