Inseguito dagli effetti rovinosi delle sanzioni occidentali sull'economia russa, preoccupato dai primi scricchiolii del suo sistema mafioso basato sulla distribuzione di ricchezza a oligarchi e generali, Vladimir Putin ha deciso di liberarsi dei residui scrupoli. Prima che sia troppo tardi, deve schiacciare l'eroica resistenza degli ucraini a qualsiasi costo, chiudere questa guerra d'aggressione con un successo per quanto impresentabile. Spera, una volta che il massacro di uomini e di regole internazionali sarà stato compiuto e coronato da un'occupazione militare dell'Ucraina, di potersi togliere la mimetica inzaccherata di sangue, indossare un completo scuro e ripresentarsi incravattato e liftato nei consessi mondiali a riprendersi il rispetto che gli sta tanto a cuore. Non per la Russia: per se stesso, come sempre.
Ecco dunque l'avanzata di sessanta chilometri di blindati e carri armati su Kiev, come in una spericolata mossa di Risiko; ecco le bombe a grappolo lanciate su Kharkiv, seconda città del Paese-che-non-deve-esistere, per terrorizzare i suoi abitanti, sterminare i suoi difensori e trasformarla in Kharkov, come ai «bei tempi» dell'Unione Sovietica che solo lui rimpiange; ecco la farsa crudele di negoziati condotti a strage in corso, e mentre la caccia al legittimo presidente Volodymyr Zelensky, affidata ai sicari belluini del ceceno Kadyrov, è in pieno svolgimento. Ecco l'eterno ritorno delle scene dell'imperialismo russo in Europa: i carri armati nelle città «liberate» circondati da civili che imprecano, minacciano e supplicano i «liberatori» di tornarsene a casa loro, come a Budapest nel 1956, come a Praga nel 1968; e i carristi quasi imbarazzati di fronte a tanta rabbia, gli avevano detto che li aspettavano con i mazzi di fiori, per cacciar via i nazisti che invece di fatto sono loro. In fretta, in fretta, non c'è tempo da perdere. Prima che gli ucraini ricevano altre armi e ci fermino di nuovo, prima che i moscoviti e i pietroburghesi rimasti senza un rublo svalutato in tasca comincino a trovare il coraggio di prendersela con il responsabile delle disgrazie di due popoli. O loro o io, e io non voglio finire scannato come Gheddafi. Questo pensa Putin, l'uomo che scatenando una guerra criminale ha sbagliato tutti i suoi conti e si è infilato in un tunnel da cui non può più uscire. L'uomo che adesso non potrà far altro che comportarsi da fuorilegge fino in fondo, continuando a far raccontare ai suoi rappresentanti e complici bugie sempre più inverosimili.
Non è più una questione geopolitica, questa: Putin va trattato per il fuorilegge che ha scelto di essere.
Il premier Draghi giustamente parla di difesa dei nostri valori, ma, con il dovuto rispetto, non basta. Occorre dir chiaro che in tali circostanze da una parte c'è il giusto e dall'altra lo sbagliato. Il bianco e il nero, sì: questa infamia è una questione morale.
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