Mentre la legge sul «fine vita» agita la politica, spaccando trasversalmente sia la destra che la sinistra come accaduto nel consiglio regionale veneto, la magistratura si candida nuovamente a fare da supplente. Anche se il Parlamento non è ancora stato in grado di varare una norma sull'accompagnamento alla morte dei malati terminali, le Procure chiedono che l'aiuto al suicidio non sia più punito. E invocano nuovamente l'intervento della Corte Costituzionale.
Sotto inchiesta c'è anche stavolta Marco Cappato, il leader radicale già processato e prosciolto per avere accompagnato all'eutanasia in Svizzera Dj Fabo. Cappato è sotto processo a Firenze per un altro suicidio assistito. Accogliendo la richiesta della Procura, il giudice preliminare Agnese Di Girolamo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 580 del codice penale, che punisce con il carcere fino a dodici anni chi «agevola in qualsiasi modo l'esecuzione» del suicidio. È la norma già dichiarata incostituzionale nel settembre 2019, con la sentenza che portò a prosciogliere Cappato per il caso Dj Fabo. Nella sentenza la Corte riteneva incostituzionale il divieto di aiutare al suicido pazienti «tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetti da patologia irreversibile» e esprimeva «con vigore l'auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore».
Sono passati quattro anni e mezzo, la legge non è mai nata, un referendum è stato dichiarato inammissibile. Nel frattempo Cappato ha aiutato altri a morire ed è finito sotto processo davanti a quattro tribunali diversi. A Firenze l'indagine nasce dall'accompagnamento in Svizzera nel 2022 di un malato di sclerosi multipla di nome Massimiliano. Subito dopo, come negli altri casi, Cappato si autodenunciò e venne incriminato dalla Procura per aiuto al suicidio. La stessa Procura nell'ottobre scorso ha chiesto l'archiviazione del fascicolo, sostenendo che la sentenza del 2019 è sufficiente a garantire l'impunità a Cappato.
Ma non è così, stabilisce ieri il giudice: «sussistono tutti gli elementi costitutivi del reato», si legge nella sentenza. Anche perché nel caso di Massimiliano uno dei requisiti indicati dalla Consulta nel 2019, il «trattamento di sostegno vitale», non c'è: Massimiliano non era attaccato a una macchina, respirava autonomamente. Il giudice fiorentino chiede che la Corte si pronunci nuovamente, allargando ancora di più il perimetro delle patologie che dovrebbero rendere lecita l'eutanasia.
Uno scenario analogo potrebbe ripetersi a breve a Milano, dove la Procura ha chiesto l'archiviazione del processo all'esponente radicale per l'aiuto al suicidio di un ottantaduenne malato di Parkinons e di una 70enne malata terminale di cancro. La decisione del giudice è attesa per il mese prossimo.
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