La rimpatriata ulivista va in scena nella sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, sede della commissione antimafia del Parlamento. L'occasione è un lavoro sulla figura di Nino Andreatta, realizzato dalla rivista Arel, la scuola di legislazione e politica fondata da Enrico Letta. L'incontro cade a fagiolo, nei giorni caldi per la sinistra italiana. Romano Prodi, padre dell'Ulivo, è reduce dallo durissimo scontro con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il professore è considerato il regista del campo largo, alleanza politica che dovrebbe spianare la strada alla leadership di Elly Schlein. I rapporti però tra Giuseppe Conte, capo del M5S, e la segretaria del Pd sono ai mini storici. Sono scesi in campo i «padri nobili» per ricomporre lo strappo, usando come modello l'Ulivo di Prodi.
Al tavolo ci sono altri due big della stagione ulivista: Walter Veltroni, che di Prodi fu vicepresidente nel 1996 e ministro della Cultura, ed Enrico Letta, che assunse l'incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel secondo governo Prodi. L'intruso è Pier Ferdinando Casini, che della stagione ulivista fu avversario. A San Macuto si mescolano ambizioni politiche e scenari prossimi. Casini, Veltroni e Prodi possono esser considerati i «tre ricucitori» con ambizioni quirinalizie. I tre sperano e lavorano per una ricomposizione del campo largo, in particolare della frattura tra Schlein e Conte, per ottenere il «bollino» su una candidatura ufficiale al Colle nel 2029. Veltroni ci ha provato senza successo già nel 2022, facendo sondare all'amico Letta, ieri seduto alla sua sinistra, il suo nome tra i papabili per il Quirinale. Spera di riprovarci nel 2029. Ecco che l'unica strada per riconsegnare la guida del Paese e la maggioranza in Parlamento alla sinistra è la formula magica del defunto Ulivo: «Il governo dell'Ulivo del 96 - dice Veltroni - è stato il migliore per qualità della storia della Repubblica». Immancabile la frecciatina all'unico assente, Massimo D'Alema: «Se qualcuno non l'avesse boicottato, la storia di questo Paese sarebbe stata diversa». In formato nostalgia anche Enrico Letta: «Grazie a Prodi abbiamo l'unione monetaria, dove sono finiti i movimenti Italexit? Prodi merita un monumento». Il più furbo di tutti si conferma Pier Ferdinando Casini, che lavora per una riedizione dell'Ulivo senza però uscire allo scoperto. Casini, che non ha rinunciato al sogno del Colle, tiene aperta la porta anche nel centrodestra. E alla rimpatriata ulivista si attiene al tema: «Qual è la differenza fra Prodi e Andreatta? Credo che Andreatta alla fine fosse più impolitico, Romano è più politico, lo ha dimostrato la sua esperienza. Andreatta era profondamente capace di essere impolitico». Il professore nel suo intervento ritorna sul tema euro: «Mai come oggi ci sono persone che mi mandano lettere anonime o che mi fermano per la strada per dirmi che ho rovinato l'Italia con l'euro. È un problema di comprensione, l'Europa è la nostra ancora di salvezza». Prodi però è l'ospite più atteso, per il suo attivismo.
Ambizioni quirinalizie con Schlein a Chigi? Nell'intervista al Corriere Prodi nega il suo ruolo di regista del campo largo ma ammette: «Rimane la realtà di una destra che ha trovato un proprio equilibrio, governa e offre stabilità. E di una sinistra nella quale il Pd è il perno, ma circondato dall'ambiguità dei 5 Stelle e da una nebulosa centrista in eterno conflitto».
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