La nuova Lega è ferma al bivio del federalismo

La nuova Lega è ferma al bivio del federalismo

In questi giorni il dibattito è dominato dalle tensioni sul regionalismo differenziato, con lo scontro tra il premier Giuseppe Conte e i due presidenti leghisti del Nord, Attilio Fontana e Luca Zaia, insofferenti verso un governo che prima ha rinviato la riforma e ora la sta svuotando di contenuti.

Da dove viene, però, questo processo? Cosa ha portato alla legge lombarda che istituiva il referendum e, un anno prima, all'approvazione di quella veneta? Pochi si ricordano come si è arrivati a questo punto e, soprattutto, quale fu l'atteggiamento della Lega dinanzi all'idea di avviare un processo di rafforzamento dell'autogoverno locale.

All'origine dell'intero cammino ci fu l'iniziativa - dal basso - di una realtà movimentistica veneta che già all'inizio del 2013 riempì molte piazze e raccolse 20mila firme per chiedere un referendum sull'indipendenza. In seguito quel piccolo partito senza rappresentanti in Regione (Indipendenza Veneta) prese contatto con i consiglieri eletti e ne trovò uno non della Lega, Stefano Valdegamberi (allora nelle file dell'Udc), che nell'aprile di quell'anno fece propria la proposta del referendum consultivo sull'indipendenza e la depositò.

Per alcuni mesi i leghisti di Luca Zaia presero tempo, rinviando l'esame del disegno di legge. Quando poi si andò in aula, la Lega aggiunse anche un quesito autonomista, al fine di garantire un profilo più moderato all'intera iniziativa. Alla fine, la Corte costituzionale rigettò il referendum sull'indipendenza, ma salvò quello più moderato. In quel momento si aprì la strada per il referendum in Veneto, ciò che spinse la stessa Regione Lombardia ad approvare una legge simile.

Quando consideriamo in che modo la tanto ostacolata riforma volta a dare più autonomia a Veneto e Lombardia ha mosso i primi passi, risulta evidente come, per lo più, la Lega abbia subito questo processo, e non già l'abbia promosso. Nel caso veneto, in particolare, è stata soprattutto la società civile a prendere l'iniziativa. E questo perché - anche prima della svolta nazionalista di Matteo Salvini - la Lega avvertiva l'esigenza di tenere assieme le richieste del proprio elettorato settentrionale con le esigenze della politica nazionale.

Da questo punto di vista, oggi tutto è ancor più chiaro, poiché Salvini sa che presto potrebbe essere costretto a sacrificare qualcosa: o una parte del

proprio sostegno al Nord, oppure ogni sogno di sfondamento al Sud. L'Italia è una realtà complicata, differenziata, segnata da contrapposizioni. È evidente come ogni tentativo di negare tutto questo sia destino a fallire.

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